Indignados, tutto iniziò da un libro

di Valentina Sorce

Dopo i fatti di questi ultimi giorni a Roma, non posso fare a meno di pensare a un libro che, già dal titolo, sembra essere un’emblematica risposta a tutto ciò che è accaduto durante la manifestazione italiana dei cosiddetti “Indignati”. Mi riferisco a “Indignaos!” (Indignatevi) di Stéphane Hessel (Ed. Destino, 2011). E’ questo infatti il libro che, in seguito alla sua prima versione francese del 2010, ha dato vita e nome a quello che oggi è il movimento popolare conosciuto in tutto il mondo con l’appellativo di “Indignados”.

Lo trovo quasi per caso in una libreria di Valencia e, dal momento che i primi “Indignados” sono stati proprio gli spagnoli di Madrid del 15 maggio scorso, mi appassiono subito alla lettura. Ben presto tuttavia mi rendo conto di come l’intenzione iniziale dell’autore sia stata travisata e strumentalizzata per fini politici da molti di coloro che si definiscono Indignati. Chi dei tanti che protestano (in particolar modo gli italiani) può infatti dire di aver mai letto questo testo? Vedrò dunque, un po’ per sommi capi, di dare qualche delucidazione sui contenuti del libro ai poco attenti manifestanti miei connazionali.

Attraverso una semplice e lucida analisi di vari episodi che hanno portato all’attuale degenerazione politica e sociale dell’uomo moderno, Hessel si rivolge direttamente alle giovani generazioni perché prendano in mano la situazione e agiscano in prima persona al fine di rendere possibile un cambiamento di rotta. Egli crede infatti che solo la gioventù contemporanea possa fare davvero qualcosa di concreto contro un destino che sembra già scritto da chi detiene oggi il potere.

E’ ormai noto che la contingente crisi politico-finanziaria di gran parte dell’Europa sia il risultato di scelte sbagliate portate avanti più o meno coscientemente dai vari governi, ma anche del potere sempre maggiore acquisito dalle banche, preoccupate di salvare solo i propri interessi. “Il denaro e i suoi padroni hanno oggi molto più potere dei governi”, ci fa notare José Luis Sampedro, lo scrittore ed economista che ha curato il prologo del libro nella versione spagnola; e continua elencando tutta una serie di cose per cui vale la pena scandalizzarsi: dai moderni campi di concentramento (tra cui Guantanamo e Abu Ghraib) ai vari muri e recinti di protezione, dagli attacchi preventivi alla “guerra contro il terrorismo”(i cui scopi sono in realtà ben più ampi), fino alla cosiddetta globalizzazione finanziaria.

Eppure occorre ancora che qualcuno ci svegli, ci faccia prendere coscienza del fatto che non si può più andare avanti in questo modo, che bisogna far sentire la propria voce. A questo proposito, due cose l’autore condanna duramente: l’indifferenza e la violenza. “L’atteggiamento peggiore”, ci dice, “è l’indifferenza[…] Se vi comportate così, perdete uno dei componenti essenziali che formano l’uomo, uno dei componenti indispensabili: la facoltà di indignazione e l’impegno che ne consegue.”

Allora che resta da fare? In una parola: indignarsi! Tutto parte da qui, da quest’atteggiamento di chi non accetta passivamente ogni cosa, di chi non abbassa la guardia, di chi comincia a domandarsi il perché di ciò che accade e, una volta trovatolo, non rimane immobile, scegliendo piuttosto di mettersi in discussione, di compromettersi e impegnarsi per diffondere il grido d’allarme. E quale miglior esempio se non quello dell’autore stesso?

Hessel, novantatreenne ebreo francese, sopravvissuto a Buchenwald, durante il nazismo si unisce alla Resistenza francese. Dopo la guerra inizia la sua carriera da diplomatico e ambasciatore delle Nazioni Unite, che lo porterà ad occuparsi in prima persona di temi delicati, ultimo fra tutti la questione palestinese. H., ultimo tra i firmatari della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ancora in vita, dedica un intero capitolo del suo libro alla sua esperienza personale nella striscia di Gaza (di cui dà più volte testimonianza definendola una “prigione a cielo aperto per un milione e mezzo di palestinesi”), mostrando la sua netta critica al governo israeliano. Sottolineando la propria indignazione a riguardo, egli riporta l’esempio dei terroristi di Hamas per spiegare la sua visione della violenza come “una deplorevole risposta a situazioni inaccettabili” [“Si potrebbe dire che il terrorismo è una forma di esasperazione e che quest’esasperazione è un limite negativo. Non dovremmo esasperarci, dovremmo sperare. L’esasperazione è una negazione della speranza, è qualcosa di comprensibile, direi quasi naturale, ma proprio per questo non è accettabile. Perché non permette di ottenere i risultati che può eventualmente produrre al speranza”.] In altre parole, possiamo in qualche modo comprendere i terroristi e le loro ragioni, ma non per questo giustificare le loro azioni.

L’unica strada possibile per fermare la violenza è la non-violenza, o meglio ancora una “speranza non-violenta”. E Sampedro rilancia: “Oggi non si tratta di impugnare le armi contro l’invasore o di far deragliare un treno. Oggi si tratta di non soccombere sotto l’uragano distruttore del sempre di più, del consumismo vorace e della distrazione mediatica mentre ci applicano dei tagli”.

Il messaggio che ci viene lanciato è chiaro: “Ai giovani dico: guardatevi intorno e troverete i fatti che giustifichino la vostra indignazione […]Troverete situazioni concrete che vi porteranno a intraprendere un’azione cittadina forte. Cercate e troverete!” Il problema sta nell’attuazione di quest’azione azione collettiva, che gli spagnoli hanno ben interpretato nelle loro manifestazioni pacifiche e con una grande partecipazione di persone di ogni generazione, lontane da ogni appartenenza o specificità politica di parte, unite da un unico comune grido di protesta contro la dittatura dei mercati.

E in Italia? Beh, in Italia è un’altra storia. Ma nella speranza che anche da noi qualcosa inizi a muoversi, mi unisco all’autore dicendo:

“Auguro a tutti, a ciascuno di voi, che abbiate il vostro motivo di indignazione. E’ un valore prezioso. Quando qualcosa ti indigna come a me indignò il nazismo, diventi un militante, forte e impegnato. Diventi parte di questa corrente della storia, una corrente che tende verso una maggiore giustizia, una maggiore libertà, però non verso la libertà incontrollata di una volpe in un pollaio. Quei diritti esposti nella Dichiarazione del 1948 sono universali: se incontrate qualcuno che non ne beneficia, compatitelo e aiutatelo a conquistarli.”


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