di Emilio Garofalo
Dopo la rivolta, la vendetta. O, almeno, il serio rischio che questa venga perpetrata. Nella Libia liberata, infatti, a seguito della cattura e della uccisione del leader Muammar Gheddafi, l’odio, il malcontento, la frustrazione accumulata in questi lunghi mesi di combattimento dai miliziani locali stanno armando, ancora, le loro mani.
Sono sorte in tutto il Paese nordafricano prigioni, rifugi, nascondigli improvvisati e gestiti dalle truppe ribelli, in cui sarebbero detenuti circa 7.000 soldati che, nel conflitto, hanno sostenuto il raìs. Per i lealisti nessun processo, nessuna incriminazione ma, secondo le organizzazioni non governative che hanno denunciato la deriva violenta della rivolta, solo torture e abusi d’ogni genere. La gestione di queste galere è affidata, in molti casi, ad adolescenti armati che controllano i prigionieri in luoghi segreti di fortuna, torturandoli e lasciandoli privi d’ogni tutela legale o politica.
Sweti, un giovane 27enne, sarebbe il comandante di una prigione ricavata nei vecchi locali di una scuola. Controlla circa un migliaio di prigionieri stipati su materassi, per terra, e guardati a vista da giovanissimi combattenti armati.
E’ intervenuto sulla questione anche il governo libico di transizione, guidato dal primo ministro del Consiglio nazionale, Mahmoud Jibril, prospettando un’amnistia per i combattenti di Gheddafi che non si siano macchiati di crimini di guerra e che scelgano di cooperare con l’autorità politica.
Se si pensa a luoghi come Misurata, però, risulta difficile pensare che questo scenario risolutivo possa verificarsi. Sono stati proprio gli abitanti del posto, infatti, a subire i peggiori danni, nei mesi d’assedio, a seguito degli attacchi delle truppe del Colonnello. Stupri, saccheggi, omicidi, anche di bambini. E, ancora, vessazioni, umiliazioni, furti e atti vandalici. Questo passato di violenza inaudita non può che causare, in quelle che sono state le zone calde della rivolta, un presente e un futuro di orrori, alimentati dalla presumibile sete di vendetta. Secondo Abdel GaderAbu Shaallah, posto al controllo di prigioni proprio nella città di Misurata, il suo popolo è ancora scosso e provato.
Intanto, dalle organizzazioni mondiali di diritti umani, Amnesty International e Human Rights Watch su tutte, continuano giungere segnalazioni e denunce di gravissimi abusi a danno dei prigionieri. Un accanimento è stato documentato, in particolare, sui libici scuri di pelle e sui miliziani provenienti dalla’Africa sub-sahariana, vittime di aggressioni fisiche e colpi con scariche elettriche.
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