Da dieci anni la questione dei diritti umani è diventato un tema scottante nello Zimbabwe. E proprio in occasione del World Habitat Day, che si festeggia oggi, è importante ricordare che il governo di Robert Mugabe nel marzo del 2005 ordinò l’esecuzione di uno dei più vasti e violenti sgomberi forzati della storia recente: furono 700.000 le persone che dissero addio a case e beni.
La situazione non migliorò neanche quando nel 2009 venne creato il governo di unità nazionale tra l’Unione nazionale africana dello Zimbabwe di Magabe e il più importante partito di opposizione.
Le donne non ci stanno e vogliono farsi sentire. In particolare quelle che sono a capo del movimento per la giustizia sociale. Il 21 settembre scorso a Bulawayo, la seconda città del paese, la polizia non ha esitato a porre fine ad una manifestazione finalizzata a celebrare la Giornata internazionale della pace. Dodici promotrici del movimento Woza (Women of Zimbabwe Arise) sono state picchiate e arrestate dalla polizia. Dieci sono state rilasciate quasi subito, mentre per altre due le cose sono andate diversamente, è stato negato il loro rilascio su cauzione, poiché accusate di sequestro e furto. Hanno subito due interventi chirurgici a causa delle lesioni subite per aver esercitato il loro diritto di libertà d’espressione, costituzionalmente tutelato.
Woza non è l’unico movimento presente. Di recente è nato anche Moza (Men of Zimbabwe Arise), la cui azione principale è quella di esprimere il proprio dissenso nei confronti del presidente Mugabe. Il 28 febbraio scorso, a Bulawayo, sette membri dei due movimenti erano stati arrestati e sottoposti a torture per 48 ore attraverso la tecnica della «falaqa», consistente in bastonate sulle piante dei piedi. I rapitori volevano sapere dove si fossero nascoste due donne del movimento Woza.
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