I bambini dormono ancora sul fondo del Sand Creek

di Marco Foglietti

Fumo, polvere, capanne rivolte. L’odore di bruciato che si respira nell’aria ti entra diretto nelle narici, facendoti quasi male. A terra, accanto ai corpi carbonizzati, ancora ardono gli ultimi focolai, segno del massacro appena compiuto. Una bandiera americana, issata su di un palo, domina la scena dall’alto, mentre le luci dell’alba novembrina illuminano angoli di orrore che la notte aveva saggiamente nascosto.

Sand Creek, Colorado, ventinove novembre 1864: è appena sorto il sole quando una truppa di militari e di volontari, comandati dal colonnello John Chivington, attacca inaspettatamente un villaggio abitato da Cheyenne e Arapaho. Nel vigliacco assalto perdono la vita almeno centocinquanta indiani, la maggior parte di essi donne e bambini.

La corsa all’oro perpetrata dal governo li aveva costretti a lasciare i territori di origine e a spostarsi nei pressi del Forte Lyon, base delle truppe americane. Dopo gli iniziali screzi sembrava che la pace potesse abitare le terre del Colorado. Una bandiera a stelle e strisce fu simbolicamente piantata nel terreno del villaggio. Tanta era la fiducia nei confronti delle milizie, da parte degli indiani, che neppure una guardia vegliava durante la notte, a protezione delle famiglie. Fu questa la meschina arma di cui si servì l’esercito, che sotto l’ordine di Chivington “Uccideteli e fate lo scalpo a tutti. Questi imbecilli hanno i pidocchi” non ebbe remore e sterminò con una violenza inaudita la quasi intera popolazione, senza neppur badare alla vita di donne e bambini.

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Un atto ignobile, frutto dell’ingordigia umana e della spasmodica ricerca di un nemico, da trovare a tutti i costi. L’odio ingiustificato negli occhi di quegli uomini ha calpestato l’innocenza di decine e decine di bambini, scossi nel sonno, bruciati vivi.

Una storia che nessuno deve dimenticare, una storia poco raccontata, che seppur vecchia, mai come oggi sembra attuale.

In Fiume Sand Creek Fabrizio De André racconta l’episodio attraverso il linguaggio innocente e forse un po’ surreale di un bambino testimone dell’avvenimento.

A questo episodio storico il folksinger statunitense Peter La Farge, cantore dei nativi americani, ha dedicato la canzone The Crimson Parson.


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