“L’Europa ha abbandonato le sue biblioteche umane”. Intervista alla scrittrice Amilca Ismael

di Joshua Evangelista

La memoria, il racconto come raccoglitore di senso e la ricerca dell’umanità in contesti “asetticizzati” sono alcuni dei filoni narrativi dei romanzi di Amilca Ismael, mozambichese d’origine ma dall’85 in Italia, della quale Frontiere News ha pubblicato i primi quattro capitoli del romanzo d’esordio, La casa dei ricordi. I lettori del nostro giornale hanno preso confidenza con i suoi personaggi: è arrivato il momento di conoscerla.

“La casa dei ricordi” è legata alla tua esperienza da operatrice socio-sanitaria in una casa di riposo lombarda. In che modo l’avere a che fare con gli anziani ha influito nella tua attività letteraria?

Era una novità per me. Non avevo mai visto una casa di riposo, così tanti anziani in un posto solo. Una sensazione strana, sembrava un vero e proprio parcheggio umano. Vedendo le persone morire, mi rendevo conto che se ne andavano con la loro storia. E noi perdevamo un patrimonio. Il punto è che qui gli anziani sono relegati ad un angolo; in Africa sono il bastone del comando fino alla morte, delle vere e proprie biblioteche umane da consultare in ogni momento.

Ne Il racconto di Nadia, ripercorri tutta la recente storia del Mozambico, dal colonialismo portoghese all’indipendenza. Come hai vissuto il periodo sanguinario della guerra civile?  

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Mi ritengo una fortunata. Vivevo nella capitale, il Mozambico era diviso in due e a noi sembrava che la guerra coinvolgesse un altro paese. Le notizie venivano filtrate. Io ero giovane e non totalmente cosciente di quanto stesse accadendo. Un’altra cosa però mi ha toccato da vicino: la fame. Anche su questo posso ritenermi fortunata, perché le nostre madri hanno avuto la capacità di sdrammatizzare, non ci hanno mai fatto pesare la situazione. Mia madre mi diceva che quando sarebbe finito il cibo avremmo iniziato a mangiare la farina. A noi bambini l’idea non convinceva e ridevamo tutti.

La memoria è il collante di tutti i tuoi libri, decisamente in controtendenza rispetto al trend occidentale. A cosa dobbiamo questo culto schizofrenico del presente?

Probabilmente a questo tipo di benessere: tutto è immediato quindi tutti hanno fretta. Purtroppo sta succedendo anche in Africa. Stiamo mettendo da parte i valori umani e le storie ad essi legati. Proviamo a immaginare un mondo senza computer e senza libri: tutta la memoria italiana scomparirebbe, i giovani non saprebbero che durante la guerra dei partigiani hanno lottato per la libertà.

Sei una scrittrice emergente in un sistema culturale decisamente in crisi. Qual è lo stato di salute dell’editoria “di migrazione” (qualora possa essere considerato un genere)? 

Nel mio primo libro parlo di una storia “italiana”. Molti giornalisti mi hanno chiesto perché, visto che generalmente l’opera prima di uno scrittore straniero è la sua storia di migrazione. Io ho voluto raccontare l’Italia dall’esterno. Il problema vero è che le grandi case editrici non guardano più i “piccoli” scrittori, si punta a chi ha già un nome. A prescindere da chi sei, quello che importa è la storia che hai da raccontare. Purtroppo gli editori affermati non si scomodano a leggere gli emergenti.

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Qual è la cura?

Il passaparola e il lavoro delle associazioni e delle organizzazioni come la vostra, che credono anche in messaggi scritti da “sconosciuti”.


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