Un po’ come i curdi in Medio Oriente, vivono tra più territori senza avere una riconoscenza effettiva in nessun stato e combattono per ottenere rappresentanze eque nei centri di potere delle aree da loro abitate. Due milioni di persone distribuite nei territori del Sahara appartenenti a Mali (principalmente), Niger, Libia, Algeria e Ciad. I Tuareg vengono dal ceppo berbero e sono principalmente musulmani.
Di loro si parla poco e in maniera non appropriata. Famosi per la loro capacità unica di lavorare con i metalli, di raffinare i gioielli e di fabbricare spade pregiate, i Tuareg sono ricomparsi sui tg occidentali per la loro vicinanza a Gheddafi e per averne protetto il figlio Saif al Islam. Il raìs conosceva bene la loro risolutezza e la loro capacità di combattere fino alla morte. Migliaia di loro furono promossi ai ranghi alti dell’esercito lealista e alla morte del colonnello alcune tribù non hanno esitato a scortare il figlio Saif ai confini tra Niger e Mali.
Alla caduta del Raìs, i soldati Tuareg hanno abbandonato la Libia e si sono riversati in Mali, dove sono stati determinanti per la costituzione di un nuovo gruppo, il Movimento nazionale per la liberazione di Azawad, che lotta per l’indipendenza della regione desertica del Nord del Mali.
Quella dei Tuareg è una lotta aperta contro il presidente del Mali Amadou Toumani Toure, dal 1991 al governo del Paese. Il governo di Toure è accusato di fare gli interessi dell’area intorno alla capitale Bamako e di aver lasciato a se stesso tutto il nord del Mali, sempre più povero. Al momento la possibilità di una guerra civile è rallentata dall’arrivo del generale Kona, ministro degli interni di Toure e uomo stimato dai ribelli. I negoziati di pace sono lunghi e difficili, ma Kona è la carta della disperazione del governo di Bamako.
Ma chi sono i Tuareg? Il celebre velo che lascia visibili solo gli occhi ha coperto per secoli la vita e la cultura di questo popolo così affascinante. Pochi sanno che i mercanti Tuareg hanno rivoluzionato il commercio transahariano. Grazie a cinque percorsi riuscirono a collegare il Mediterraneo alle città a sud del deserto. Lo spazio nelle caravane era limitato, così si specializzarono nel trasporto di materiale prezioso, poco ingombrante e molto redditizio.
Ben presto però trovarono una merce altrettanto apprezzata in Europa e in Medio Oriente. Il commercio di schiavi li portò a rendere più stabili le comunicazioni e molti di loro si stabilirono nelle città con le quali avevano maggiori affari.
Così diversi agli occhi degli europei rispetto agli arabi con i quali erano soliti fare affari, i Tuareg hanno da sempre usato il velo come marchio distintivo della loro fede. Dal sedicesimo secolo si ispirano in tutto negli insegnamenti del profeta El Maghili. Sebbene molti considerino fondamentali le preghiere quotidiane, i Tuareg hanno un approccio alla spiritualità altamente condizionato dalla loro vita nomade. L’essere sempre in viaggio porta il Ramadan, ad esempio, a non venire sempre rispettato e come molti altri popoli del Nordafrica affiancano al culto di Allah la mediazione di molti altri spiriti (djinns). Nella vita spirituale dei Tuareg è fondamentale la richiesta di protezione dai pericoli del deserto, affidata agli amuleti contenenti versi del Corano.
Ma la più grande protezione, fisica e dell’anima, è proprio il velo. Gli uomini iniziano a indossarlo a 25 anni senza mai toglierselo, nemmeno di fronte alla famiglia. Le donne – e questo sorprenderà coloro che considerano ‘i musulmani’ come una massa antropologica indefinita – sono esentate dal portarlo.
Il viaggio è stato il vero demiurgo della cultura Tuareg e di tutte le derivazioni artistiche. Del resto il viaggio porta alla contaminazione, all’acquisizione di nuovi simboli. Si ascolti a tal proposito la musica dei Tinariwen, che hanno saputo intrecciare in maniera straordinaria il blues alla tradizione sonora sahariana.
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