Un sogno di fango, i mattoni del Malawi

Testo e fotografie di Stefano Pesarelli

E’ luglio, la stagione delle piogge è ormai lontana. Il clima è secco, il mais ed il tabacco sono stati ormai raccolti, ma c’è chi ne approfitta per un umile guadagno. In Malawi, così come in altre zone del continente, le vecchie capanne di legno e fango con il tetto in paglia sono ormai un ricordo; il progresso le ha sostituite con le più moderne capanne di mattoni, coperte dal tetto in lamiera.

Poco importa se la lamiera ondulata è rovente, se la muratura non fa passare un filo d’aria, se il cemento costa caro: questo è il prezzo del progresso e gli africani ne subiscono l’assurdo fascino. Nei villaggi la richiesta di mattoni diventa importante, l’offerta molte volte non è sufficiente e così spesso intere famiglie si organizzano per costruire migliaia di mattoni interamente a mano.

La fabbricazione è un lavoro duro, ma semplice. Alle sei del mattino il sole è già alto, gli attrezzi sono pronti: zappa, vanga e braccia possenti iniziano un lavoro che nel 2010 sembra fuori dal mondo. Gli uomini vangano il duro suolo argilloso senza sosta; le donne raccolgono l’acqua dal pozzo, sovente distante e la rovesciano sul terreno creando un miscuglio fangoso.

I ruoli sono importanti, l’organizzazione deve essere perfetta, il padrone del campo è il coordinatore, datore di lavoro e responsabile dei lavoratori. L’impasto viene raccolto con un primitivo, ma prezioso attrezzo di legno che ne dà forma, misura e consistenza. Ogni singolo mattone è fatto essiccare all’aria per circa sette giorni.

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Un lavoro senza sosta, sotto il sole, nel fango con un solo obiettivo: creare più mattoni possibile entro la fine della settimana. La paga è di sabato: più file di mattoni ci saranno, più il salario sarà alto. In un paese dove la banconota più grande è il 500 Malawian Kwacha (poco più di 2 euro), un mattone ancora da cuocere vale tre Malawian kwacha: due all’uomo che l’ha fabbricato e uno alla donna che ha portato l’acqua.

I mattoni, così lavorati, devono essere cotti. Non esiste il forno, bisogna costruirlo con gli stessi fragili mattoni appena essiccati. La costruzione è compito di un esperto: questa è la fase più importante. In altezza non sono più di 16-17 file di mattoni, è una regola fissa che non può essere violata altrimenti le file più alte non verrebbero cotte. La lunghezza, invece, non ha importanza; così, a volte, questi “mostri” raggiungono anche le 20 bocche, una in fila all’altra.

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Quando il forno è pronto, le donne lo rivestono di fango in modo che il calore non si disperda. La fase più delicata è la cottura, potrebbe vanificare l’intero lavoro e il padrone del forno perderebbe il profitto. C’è bisogno di molta legna che viene prelevata dalle foreste del Malawi; gli enormi tronchi spesso arrivano da molto lontano trasportati ancora con carretti trainati dagli asini.

Cuocere i mattoni è un rito notturno, si sta svegli tutta la notte ad alimentare ogni singola bocca: sbagliare questo passaggio è assolutamente vietato. Mentre i mattoni cuociono si mangia e si beve come a festeggiare un lieto evento. Il padrone del terreno offre la carne, la birra locale e si assicura che il suo business non vada perso.

La cottura dura tre giorni al termine dei quali ogni singolo mattone è pronto per essere venduto per 10 Malawian Kwacha, ovvero 5 centesimi di euro.

Sono le cinque del pomeriggio, il sole è al tramonto mentre la paglia accende il forno.

Nel 1984 il 34% del Malawi era ricoperto di foreste, nel 2004 solo il 26% del paese. Per combattere la deforestazione il Governo ha vietato l’uso di carbonella e reso illegale la costruzione dei mattoni perché richiedono un’enorme quantità di legna da ardere.


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