di Rosanna Columella
Qui a Napoli, fino a ieri, la folla si perdeva tra le varie botteghe artigianali, suggestionata dall’abile maestranza partenopea che ogni anno dà forma ai tradizionali paesaggi e personaggi del presepe e ne reinterpreta la tradizione attraverso originali e talvolta stravaganti riproduzioni. Osservando le centinaia di visitatori che affollano le botteghe artigianali del centro, ci si interroga sul legame profondo che lega la città al presepe.
Il presepe non è soltanto l’espressione artistica della natività, ma rappresenta il microcosmo della società napoletana nei secoli. L’espressività e la gestualità dei personaggi, le particolari ambientazioni, gli elementi decorativi, i colori e la scelta dei materiali sono il riflesso di una vivacità unica e molteplice, alimentata dalla secolare e quotidiana convivenza di etnie e culture. Quello che gli artigiani riproducono nel presepe è la storia, il fascino di una città, Napoli, la cui influenza straniera si mescola agli elementi più tradizionali e autoctoni e genera forme artistiche nuove e multiculturali, di cui solo Napoli può rivendicarne l’esclusiva paternità.
Il periodo storico di massima espressione dell’attività presepiale è il settecento e, come prodotto d’arte, è influenzato dalle mode culturali e letterarie dell’epoca, tra cui l’Orientalismo. L’Orientalismo che invase tutte le forme di decorazione, dagli abbigliamenti agli arredi della nobiltà napoletana, nel presepe napoletano alimenta la fantasia degli scultori che danno forma a vari personaggi orientali e levantini. Ad ispirare artigiani ed artisti dell’epoca sono, infatti, proprio gli eventi storici, come la stipulazione, nel 1741, del Trattato di Costantinopoli, tra il Regno di Napoli e l’Impero Ottomano, e l’arrivo a Napoli di El Haji Hussein Effendi, ambasciatore straordinario del Sultano presso la corte di Carlo di Borbone. Lo sfarzo delle vesti e degli alabardi, l’armamento dei suoi cavalli, i doni esotici del Sultano al Re, tra cui un elefante dalla zanna spezzata, giraffe e scimmie, le feste, mascherate e le sfilate di carri trionfali organizzate in città, offrirono alla vista della popolazione napoletana, l’immagine un mondo, l’altro fino ad allora solo immaginato.
L’opulenza orientale di stoffe arricchite di gioielli e smeraldi, la particolarità delle armi e degli strumenti musicali, la ricchezza delle corti viene sapientemente riprodotta nella rappresentazione di alcuni personaggi tipici del presepio del settecento, quali il Re Moro, il cui destriero tenuto per le briglie rischia di travolgere un inserviente caduto a terra; alabardieri e portatori di animali esotici; le bande musicali dei magi, composte da suonatori di etnia turco-mongola a cui si associano altri mori ed ibridi razziali; i giannizzeri, ovvero la guardia imperiale, a servizio esclusivo del sultano, raffigurati con lineamenti duri ed incisivi; i georgiani provenienti dalle regioni del Caucaso e di razza bianca, rappresentano i dignitari di alto rango, la cui caratteristica era la nobiltà di gesti e di atteggiamenti.
Le fisionomie dei personaggi orientali sono tratte da rappresentazioni teatrali e produzioni letterarie ispirate alle mascherate e ai balli, come quello del 1774, nel quale venne allestito un carro trionfale ottomano oppure alla mascherata del 1778, intitolata “Il viaggio del Gran Signore alla Mecca”, che vide la partecipazione dei reali, Ferdinando e Maria Carolina nei rispettivi ruoli di capo dei spahis e Sultana del Mogol. L’abbigliamento alla turca e turbanti recante il simbolo della mezzaluna argentea, vesti lunghe ricamate in argento e oro, giubbe con inserti di velluto e bottoni di corallo, sono tra gli elementi di maggiore spettacolarità del presepe settecentesco insieme alla scimitarra di tipo turco e alla pipa con un lungo canello d’osso.
Il presepe del settecento, con i suoi personaggi tipici quali pastori e villici, borghesi e suonatori, impreziosito dalla presenza orientale di mori e levantini, non è solo l’immagine di un’epoca storica, ma anche l’ipotesi di una possibile convivenza tra vecchio e nuovo, tra occidente ed oriente, dove la diversità culturale è sinonimo di arricchimento e di bellezza. Se un paio di secoli fa, la rappresentazione della natività subiva piacevolmente il fascino dell’altro, oggi il presepe sembra essere idealmente l’ultimo posto del mondo in cui l’altro è perfettamente integrato in una società multiculturale e multietnica, dove la diversità non fa paura ma è fonte di ricchezza.
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