Ad Oakland circa quattrocento manifestanti sono finiti in manette in seguito ad una serie di tafferugli tra i membri del movimento “Occupy Oakland” e la polizia. Quella di ieri è stata la giornata più turbolenta da quando le autorità cittadine hanno smantellato il campo base degli attivisti. Circa duemila manifestanti si sono radunati in una piazza della città californiana e dopo aver cercato di occupare un centro congressi hanno puntato dritto verso il municipio.
Il gruppo è riuscito a fare irruzione nel palazzo e ha poi dato alle fiamme una bandiera americana, rotto un quadro elettrico e danneggiato alcune opere d’arte. Per sfondare le barricate gli indignati si sono serviti di pietre, bottiglie e razzi, mentre la polizia ha risposto con gas lacrimogeni e granate fumogene. Il sindaco Jean Quan, criticato pesantemente per il comportamento troppo deciso tenuto lo scorso autunno dalle forze dell’ordine, ha attaccato in modo fermo la violenza degli indignati, dicendo che «devono finirla di usare Oakland come il loro parco giochi».
Critiche anche verso la comunità locale, che secondo il primo cittadino dovrebbe «smettere di giustificare il loro comportamento». «Sembrava che stessero cercando di attirare l’attenzione e aspettassero un errore da parte degli agenti», ha aggiunto Quan. Ma gli indignati sembrano non aver intenzione di fare marcia indietro, e in un comunicato inviato via e-mail il gruppo di protesta ha fatto sapere che ieri «un atto di disobbedienza civile costituzionalmente protetto è stato interrotto in maniera brutale dalla polizia».
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