di Giuliano Luongo
In vista delle elezioni legislative del 15 gennaio, il governo del Kazakhstan ha interdetto dal voto gli abitanti di Zhanaozen, cittadina petrolifera “rea” di essere stata teatro di pesanti rivolte scoppiate lo scorso mese, a cavallo dei festeggiamenti per i vent’anni di indipendenza dall’Unione Sovietica.
Tale decreto è stato emanato come misura-tampone della crisi iniziata a metà dello scorso dicembre, quando un gruppo di ex-dipendenti della compagnia energetica KazMunaiGas – licenziati apparentemente per aver scioperato – ha dato vita ad una vera e propria sommossa antigovernativa, alla quale hanno preso parte numerosi lavoratori del settore (nell’ordine del migliaio) e un gran numero di cittadini. L’impatto della protesta – conseguenza di sette mesi di manifestazioni organizzate da operai insoddisfatti e licenziati – è stato molto violento, con numerosi edifici distrutti e 16 morti. A queste vittime se ne è aggiunta un’altra il giorno successivo, durante ulteriori rivolte esplose nella città di Shetpe. Il totale dei feriti si avvicina a quota 100. L’opposizione, che stima un numero di vittime più alto, ha accusato la polizia e le forze governative di aver largamente contribuito al peggioramento delle tensioni.
Per mantenere l’ordine il governo, dopo aver cercato di calmare le masse con una missione in loco del Vice Primo Ministro Shukeyev e la promessa di ristrutturazioni e finanziamenti all’area interessata, ha dichiarato lo stato di emergenza, inizialmente fino al 5 gennaio. In seguito, le autorità hanno deciso di estendere tale condizione straordinaria al 31 gennaio, disponendo inoltre il blocco delle urne per i cittadini dei centri urbani coinvolti.
Questa decisione taglierà fuori 50mila elettori, assieme al pericolo di nuove sommosse con annessa perdita di immagine per il governo dell’ “eterno” Presidente Nursultan Nazarbayev. Già ricoprente la massima carica politica in Kazakhstan ai tempi dell’URSS, è stato riconfermato alla presidenza lo scorso aprile con “appena” il 96% dei consensi, ma si era mostrato favorevole alla potenziale elezione di un Parlamento multipartitico. In ogni caso, questa manovra fatta in nome della “sicurezza del Paese” lascia negli analisti molte perplessità riguardo alle velleità pluralistiche di un leader già poco noto per il suo impegno nella democratizzazione.
Si ritiene che questa manovra sia stata messa in pratica per non scalfire sia la reputazione di “forza politica stabilizzatrice” del governo che la sua abilità nel gestire le questioni economiche e del lavoro, soprattutto in campo energetico – settore traino per l’economia del Paese.
Il governo si è difeso dicendo che comunque i cittadini di Zhanaozen potranno “recuperare” il voto in seguito, a emergenza finita, sostenendo poi che 50mila è una cifra “irrisoria” di elettori, se confrontata al totale di circa 9 milioni (calcolato sugli aventi diritto alle scorse presidenziali). Inoltre, il Presidente ha già licenziato i capi della KazMunaiGas e il governatore della regione in cui sono avvenute le proteste: ha inoltre promesso di creare posti di lavoro per molti dei manifestanti in condizioni di disoccupazione.
La criticità del settore coinvolto spiega come un governo di solito poco responsivo abbia cercato di dare risposte, per quanto limitate rispetto alla gravità della situazione. A prescindere dal vero o presunto impegno del governo sul lato economico di questa crisi, i dubbi restano riguardo a quello politico: in ogni caso, solo dopo le vicine elezioni potremmo avere un quadro più completo dell’andamento della democratizzazione del Paese.
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[…] Le uniche altre due fazioni in grado di superare lo sbarramento del 7% sono state il partito Ak Zhol (partito democratico, vicino a piccoli affaristi, al 7,46%) e il Partito Comunista del Kazakhstan, al 7,2%. Le votazioni si sono svolte senza incidenti degni di nota, senza dimenticare che, con una manovra a sorpresa, Nazarbayev in persona ha cancellato tramite veto la sospensione delle elezioni nella “ribelle” regione di Zhanaozen. […]