di Susanna Orlandi
Si intitola “Sintonizzazioni” il nuovo spettacolo ideato dalla coreografa e regista Barbara Mouse che il 6 Gennaio ha concluso la sezione spettacoli della fiera Romaindanza portando sul palco l’atmosfera di un villaggio africano. All’inizio della performance la Mouse è entrata in scena, accompagnata da tre eccellenti percussionisti, descrivendo al pubblico la quotidianità delle donne africane.
Una volta che la musa viene raggiunta dal corpo di ballo, lo spirito di ciò che è stato raccontato viene trasformato in musica e danza. Quello che emerge è una grande esaltazione del corpo femminile attraverso il movimento frenetico di tutte le singole parti del corpo: testa, braccia, fianchi, gambe. Un silouette tonda, morbida lontana dalla tradizione del balletto occidentale che molto spesso punta alla negazione del corpo, all’eliminazione delle sue curve naturali verso il raggiungimento di un modello di donna androgina.
Il pubblico non può non rimanere colpito dal grande rapporto che si instaura tra corpo e ritmo, un corpo che, trasportato dalla musica in una dimensione dionisiaca, si fa animalesco, furente, folle. I danzatori emanano un’energia positiva, coinvolgente, dai loro visi non trapela alcuna preoccupazione per i passi o la tecnica perché l’importante è seguire il ritmo ed essere in sintonia con il resto del gruppo. Durante la performance si viene a creare un’atmosfera sincera, passionale e appassionante che per un attimo, che sembra troppo breve, ci trasporta nell’Africa più vera.
La grande forza degli africani è quella di aver sempre esaltato le proprie origini e la propria cultura che riesce ad affascinare il pubblico di tutto il mondo e soprattutto il pubblico italiano. Forse perché noi italiani abbiamo nel sangue questo tipo di movimento dionisiaco, viscerale che possiamo ritrovare nel tarantismo, un fenomeno tutto nostrano in cui la danza veniva assunta a medicina per la cura di malattie depressive. Purtroppo, a differenza degli africani, gli italiani hanno fatto di tutto per cancellare le proprie tradizioni, ritenendole primitive, rozze, vedendole come una vergogna a cui rimediare e non come un patrimonio da esaltare.
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