Il 12 gennaio è iniziato ufficialmente il Festival del cinema kurdo di Roma, giunto alla sua IV edizione, presso il Nuovo Cinema Aquila, in via L’Aquila 68. L’inaugurazione è stata affidata a Moni Ovadia, il grande drammaturgo e scrittore di cultura ebraica, invitato all’evento per tenere un reading di poesie kurde. Ovadia, prima di iniziare le letture, ha tenuto precisare che la sua partecipazione all’evento per lui è stata un “piccolo contributo” per testimoniare le sofferenze e le repressioni delle minoranze etniche in tutto il mondo, tra cui, appunto, i kurdi.
Il Kurdistan è un altopiano nel nord- est della Mesopotamia, a cavallo tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. Benché sia una nazione, esso non è uno Stato indipendente, anche se ha una sua propria cultura, e i suoi abitanti sono da sempre stati vittima di angherie e soprusi da parte di turchi, siriani, iraqeni e iraniani, in quanto minoranza etnica. L’intolleranza e le repressioni turche hanno, a oggi, causato la distruzione di più di 4500 villaggi kurdi e l’esodo di milioni di kurdi in tutto il mondo; una delle mete più privilegiate dai kurdi – per vicinanza geografica, non certo in termini di accoglienza ed ospitalità – è l’Italia, che ricorda svariati sbarchi clandestini sulle coste calabresi, anche durante il 2011.
Ovadia ha accusato la mancanza di attenzione alla problematica kurda da parte della Comunità Internazionale, impegnata nella “retorica sul rispetto dei popoli che, di fatto, resta solo retorica”. Il drammaturgo riconosce che un popolo esiste nel mondo quando questo dimostra di saper produrre cultura: è tramite la cultura che l’identità di un popolo si tramanda e si evolve. Ed è a questo che punta il Festival del cinema kurdo. “L’Umanità è immatura”, afferma Moni Ovadia: un orrore immediato ci fa fuggire di fronte ad esso, ci pietrifica come la vista della Medusa. Ma se, come Perseo con lo scudo, riusciamo a riverberare l’orrore (o la Gorgone) in un’immagine, la sua contemplazione ci diviene più sopportabile. Ecco perché, secondo Ovadia, film sulla shoah come Schindler’s List hanno più presa sul pubblico rispetto ai documenti storici. L’arte ha il potere di testimoniare per i vinti, gli sconfitti, attraverso immagini e parole che riverberano l’orrore del mondo che un’umanità “immatura” ancora non ha il coraggio di affrontare.
Inizia così il reading di poesie kurde, tra cui Nostalgia di Hevi Dilara, giovane ragazza kurda rifugiata politica in Italia da più di 14 anni. Qui di seguito, il testo:
Lontano dal mio paese
lontano il mio paese da me.
La distanza è dolore.
Io conosco il dolore
ma non posso dirlo con le parole.
Le parole non vivono
come l’albero di mille anni
che ho lasciato.
Le parole non saltano leggere
come la gazzella sui monti che ho lasciato.
Le parole non profumano
come i fiori più belli che ho lasciato.
Le parole non possono descrivere
il paradiso che ho perduto.
Solo chi ha molto amore può amare.
Solo chi ha molta nostalgia può sognare.
Solo chi amo e sogna libertà può entrare,
conoscere il mio paradiso
saltare come una gazzella libera sui monti,
bagnarsi come un pesce libero
nei miei fiumi,
volare come un falco libero
sui miei villaggi
sventolare la bandiera di libertà nel mio mattino
cantare come il bilur nei fuochi dei Newroz.
Anche tu, anche lei, lui, loro, tutti
possono entrare nel mio paradiso
se sanno far scorrere libertà e amore
nelle loro vene
nelle vene del mondo.
Di seguito, pubblichiamo una lettera-testimonianza, sempre di Hevi Dilara sulle condizioni dei kurdi:
Il mio nome è Hevi, che in lingua kurda significa speranza. Ma sui documenti ho un nome turco, perché in Turchia è proibito dare ai figli un nome kurdo.
Sono una rifugiata politica, fuggita dalla repressione turca, e vivo in Italia da 14 anni.
Sono una donna kurda, perseguitata per aver voluto esprimere la mia identità, per aver voluto far parte di un gruppo di musicisti kurdi, di cui ero la cantante. Come tante altre, che ancora oggi continuano ad essere perseguitate e subiscono la repressione.
Il popolo kurdo sta vivendo una persecuzione unica nel suo genere, di cui nessuno parla, soprattutto in Europa, e nemmeno in Italia.
Il 2008 ha visto un grave aumento dei dati sulla repressione nei confronti di cittadini e della società civile kurda in Turchia, come emerge anche nei rapporti di Amnesty International e dell’Associazione per i diritti umani.
La Turchia considera i kurdi dei terroristi, per la loro volontà di esistere. Ed esige dagli alleati europei, che lo siano anche per loro. Accettarlo significa violare ogni convenzione internazionale e dichiarazione universale per i diritti umani, che l’Italia e gli altri paesi europei hanno firmato.
L’Unione europea ed i paesi ad essa appartenenti, si stanno allineando alla prassi turca di annientamento e negazione di un popolo. Quel popolo kurdo, che in Europa si attesta attorno al milione di persone, fra rifugiati politici e migranti.
Pur essendo una comunità di recente venuta in Italia, nelle aree in cui vivono i kurdi e le kurde sono molto bene integrati, e vi lavorano e studiano. Non va dimenticato però che sono fra le migliaia di vittime della guerra che i militari e lo stato turco perpetrano contro il popolo kurdo: uomini, donne e bambini. I rifugiati politici come me, infatti, non sono migranti che lasciano con un progetto di vita nuovo il proprio paese. Essi sono in fuga, alla ricerca di un posto dove poter vivere e sentirsi al sicuro. Nonostante le difficoltà di trovare un lavoro, come rifugiati politici e migranti kurdi, siamo riusciti a sentirci come a casa qui in Italia, accolti dagli italiani che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza. Ma ci risulta difficile comprendere che la polizia attacchi noi kurdi anche nelle case.
In Italia vivono kurdi che sono in maggioranza rifugiati politici, fuggiti da un paese in cui rischiano la vita. Secondo l’Associazione dei diritti umani sono almeno 18 le esecuzioni extra-giudiziarie avvenute nel 2009 in Turchia. Sono più di duemila i giovani sotto i 18 anni arrestati per aver partecipato a manifestazioni di piazza per i diritti del popolo kurdo. Sono centinaia i rappresentanti democraticamente eletti in Parlamento e nelle amministrazioni locali che nell’ultimo anno sono stati imprigionati. Uomini e donne che si battono per l’affermazione dei diritti e un’autonomia territoriale come quella che in Italia viene riconosciuta all’Alto Adige e alle altre regioni a Statuto speciale.
Anche in Europa, come si è visto dalla grave operazione lanciata la settimana scorsa in Italia e attualmente ancora in corso anche in Francia e in Belgio, le azioni del movimento kurdo vengono considerate azioni di terrorismo. Si tratta di manifestazioni pubbliche di carattere culturale e politico, trasmissioni televisive, festival e concerti, oppure anche di incontri residenziali svolti alla luce del sole in luoghi pubblici, come quelli tenutisi in Italia.
I kurdi in Europa svolgono attività d’informazione e di sensibilizzazione senza aver mai commesso alcuna azione terroristica.
In Europa ci si avvia verso un conformismo alle pratiche turche in nome di interessi che vanno al di là di ogni civiltà e che attraverso queste forme di persecuzione usando il nome del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che in Europa non esiste, portano alla criminalizzazione del popolo kurdo di Turchia e di chi si espone a difesa dei propri diritti.
Faccio personalmente appello alle organizzazioni delle donne italiane, ai democratici e alla società civile italiana affinché si rompa il silenzio attorno ai fatti di repressione nei confronti dei kurdi, che non vengono solo perseguitati in patria, ma anche in Italia.
Vi ringrazio per l’attenzione.
HEVI DILARA
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