La strage della Grotta dei Patriarchi

Hebron, Cisgiordania. Nei sotterranei della Moschea di Abramo sorge la Grotta di Macpela (dall’ebraico Me’arat HaMachpela) o Grotta dei Patriarchi (in quanto è considerata il sepolcro di Abramo, Isacco e Giacobbe). Il 25 febbraio 1994 il colono ebreo fondamentalista Baruch Goldstein, membro del partito estremista Kach, entrò nella sala di preghiera riservata ai fedeli musulmani, indossando la sua divisa da soldato. Aprì il fuoco sui fedeli col fucile d’assalto Galil, uccidendo trenta persone e ferendone 125. I superstiti lo picchiarono a morte. Non venne scelto un giorno a caso per il massacro. Il 25 febbraio era infatti il giorno in cui nel 1994 cadeva la festa del Purim (che commemora la liberazione del popolo ebraico nell’antico Impero Persiano, come riportato nel libro di Ester).

Durante il funerale del terrorista sionista il rabbino Yaacov Perrin dichiarò: “Neanche un milione di arabi vale quanto una sola unghia ebrea”. Samuel Hacohen, un docente di un college a Gerusalemme, definì Goldstein come il “più grande Ebreo vivente, l’unico che poteva fare quello che ha fatto, l’unico perfetto al 100%”. I principali leader religiosi però sono concordi nel ritenere che “uccidere palestinesi con un fucile automatico” non fosse autorizzato dalla Torah.

La tomba di Baruch, su cui è scritto l’epitaffio “Diede la sua vita per il popolo d’Israele, per la Torah e la terra”, è stata per anni meta di pellegrinaggio di estremisti israeliani.


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