di Anna Toro
Offrire una speranza di riscatto ai rifugiati attraverso la possibilità di lavorare e guadagnare dal frutto delle proprie mani e della propria creatività. In più, facendo del bene all’ambiente. E’ questa l’anima del progetto umanitario Refugee scArt, creato a Roma nell’estate 2011 dalla collaborazione dell’ong Spiral con il Centro Astalli e l’associazione Laboratorio 53, e con il patrocinio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR). E’ così che 9 giovani rifugiati provenienti dall’Africa si sono trasformati in “maestri della plastica e del riciclo”, e con perizia e impegno sono stati capaci di trasformare l’immondizia in borse, astucci, bracciali, targhette per i bagagli e molto altro. “Hanno creato oggetti utili e anche belli – ha affermato lo scrittore Erri De Luca che, da sempre attratto dalle storie avventurose e terribili di questi “fratelli” in fuga, è diventato testimonial d’eccezione del progetto – Un laboratorio di pochi utensili dà scopo, dignità e valore alle loro mani buone a tutto”.
Storie straordinarie. Il bilancio, dopo i primi sei mesi di lavoro, è ottimo: “I ragazzi hanno riciclato oltre 1500 Kg. di plasticaccia – racconta Marichia Simicik Arese, fondatrice di Spiral – contribuendo positivamente al bene comune e alla pulizia della Capitale. Ci guadagnano tutti: i cittadini e i rifugiati”. L’idea di Refugee scArt le è venuta dopo aver visto in TV le immagini della Montagna della vergogna a Lampedusa, dove “gli immigrati stessi sembravano anch’essi dei rifiuti”, buttati là ad aspettare notizie sul proprio destino. “Eppure le loro vite sono straordinarie – afferma Laura Boldrini, portavoce dell’UNCHR – Chi mai tra noi ha conosciuto l’esperienza della fuga dal proprio paese, ha conosciuto torture e prigioni, attraversato il mare in barconi fatiscenti? Ogni volta penso: ma io che avrei fatto? Come mi sentirei? Sono storie che superano l’immaginazione, mi chiedo come hanno fatto a mantenere la speranza. Per poi trovarsi ai margini di una realtà che non offre loro nulla”.
Come Abdul, che lavorava in Guinea come insegnante in una sartoria, dove si confezionavano anche vestiti per persone importanti. Un giorno decide d’incoraggiare i suoi allievi a partecipare a una manifestazione per la democrazia e viene messo in prigione senza processo. Vi resterà 20 mesi. Quando finalmente riesce a scappare, questo per lui significa dover lasciare il proprio paese. Piange tutte le sue lacrime, ma non ha scelta. Riuscirà a far sapere alla famiglia che è vivo solo 6 mesi dopo aver raggiunto l’Italia. “Succede che una volta che arrivi a Roma stai a Termini e non dove andare, che fare, non sai nulla” racconta, descrivendo una vita fatta di “senza”: senza soldi, senza casa, senza poter comunicare. Giorni interi a vagare per la stazione, tra l’indifferenza e soprattutto la paura della gente. “Questo fino a che non abbiamo incontrato Marichia e il suo progetto”.
Benvenuti in Europa? Se nel 2011 sono state 1500 le persone tragicamente scomparse nel fondo del Mediterraneo (“ma per noi sono solo numeri, non ci commuovono”), Erri De Luca ricorda che esistono anche i migranti via terra: “Bisogna capire che c’è un’enorme mobilità – spiega – per cui se si chiude un canale se ne apre un altro”. I migranti passano così dalla Turchia, attraverso il fiume Evros, e arrivano in Grecia, che poi li fa entrare in Europa. Gli Stati Europei però, in base alla norma secondo cui il riconoscimento dello status di rifugiato debba essere fatto nel primo Paese in cui il migrante mette piede, spesso e volentieri li riversano di nuovo tutti in Grecia. “Dove – continua De Luca – secondo le statistiche, hanno solo l’1% di possibilità che venga accolta la loro richiesta. Perciò sono migliaia le persone restano in orbita per anni, senza sapere nulla del loro futuro”. In Italia va un po’ meglio, con una percentuale di riconoscimento del 40%. “Ma non è vero che tutti si vogliono stabilire da noi, dato che a Nord delle Alpi le percentuali sono ancora più alte. Dobbiamo sfatare questi stereotipi alimentati da politica e media”.
De Luca è talmente coinvolto dalle vicende umane di questi migranti che non solo continua a raccontare di loro nei suoi libri e a promuovere il progetto del riciclo, ma non ha esitato a partecipare, con uno scritto inedito, anche al libro Terre senza promesse (Avagliano editore), curato sempre dal Centro Astalli: una raccolta di 10 storie di rifugiati dal Corno d’Africa che narrano i motivi della loro fuga, le persecuzioni subite in Libia e la traversata del Mediterraneo per arrivare in Italia. “Ragazzo – scrive De Luca – la tua storia è vagabonda come il mondo. Tu sei l’Africa da dove siamo partiti tutti e continuiamo a farlo. Sei l’avanzo di innumerevoli caduti che in te proseguono il cammino. Benvenuto al peggio che ti offriamo”.
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Il vostro progetto umanitario è ammirevole e spero che molti possano prendere spunto da Voi per riuscire a dare una mano a tutte le persone bisognose. Sentiti complimenti. Antonio.
Sono Marichia Arere fondatrice del progetto REFUGEE scART in collaborazione con il Centro Astalli e Laboratorio53 e con il patrocinio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Grazie per il bellissimo articolo sul progetto REFUGEE scART. Esiste un proverbio Africano che dice: “Per far crescere un uomo ci vuole un intero villaggio”. Voi tutti siete il VILLAGGIO di REFUGEE scART. Abbiamo bisogno del vostro sostegno per continuare a crescere, Grazie Marichia
marichia, dove si possono acquistare questi oggetti?
grazie, anna rita