Reportage dal Senegal, avvolto nella violenza pre-elettorale

Telegraph

di Valentina Pomatto

Ancora caos in Senegal negli ultimi giorni, in pieno clima pre-elettorale. Venerdì 17 è stata una giornata di scontri, nelle vie del centro città. La manifestazione degli oppositori dell’attuale Presidente Wade, ricandidato alle elezioni del 26 febbraio, ha trovato la dura reazione della polizia inviata sul posto. I poliziotti schierati agli imbocchi delle vie laterali che danno su Avenue Lamine Gueye, una delle arterie principali del centro di Dakar, hanno lanciato lacrimogeni per disperdere i manifestanti, i quali hanno risposto con lanci di pietre e dando fuoco a pneumatici, cumuli di rifiuti e assi di legno.

La polizia ha fatto retrocedere il gruppo di oppositori fino alla rotonda di Sandaga, uno dei punti più animati del centro città. Gli scontri, proseguiti in quest’area, hanno spinto i titolari a chiudere gli esercizi commerciali. Un’atmosfera surreale ha pervaso le vie del Plateau, quartiere centrale della capitale senegalese: fumo, fiamme, grida concitate, affronti diretti alle forze dell’ordine hanno prodotto nei presenti la sensazione di assistere ad una vera e propria rivolta.

A sostegno dei manifestanti è arrivato anche Youssou Ndour, che appena sceso dal 4×4 è stato accolto dagli applausi dei presenti. L’arrivo del cantante, nonché leader del movimento Fekke ma ci boole e aspirante candidato alla presidenza (ndr: la sua candidatura è stata rifiutata dal Consiglio Costituzionale), non ha placato la tensione. La polizia ha continuato a reprimere la manifestazione gettando sulla folla lacrimogeni e acqua calda.

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L’evento più grave si è verificato nel tardo pomeriggio, quando un lacrimogeno è stato lanciato all’interno della moschea El Hadj Malickj Sy, provocando lo shock e la collera dei fedeli riuniti per la preghiera del venerdì, nel momento del rito “quadratoul jumah”, tipico della confraternita dei Tidiane. Più di 200 persone si sono levate gridando “Allah Akhbar” (Dio è grande) e indirizzando alle forze dell’ordine slogan di rabbia e di sdegno. Un sit – in è stato organizzato immediatamente davanti alla moschea per deplorare un atto considerato da tutti inaccettabile. “Si tratta di profanazione”, “Hanno superato i limiti”, “E’ uno scandalo”, hanno commentato i fedeli una volta fuori dalla moschea. Anche l’imam si è pronunciato in modo netto e duro: “Ve ne pentirete” ha detto ai poliziotti davanti al luogo di culto.

Questo grave episodio ha provocato reazioni accese in altre località senegalesi, in particolare a Tivavuone, città sacra per la confraternita dei Tidiane. La gente é scesa in strada e ha manifestato per chiedere le dimissioni del Presidente Wade. Gli scontri si sono ripetuti anche sabato 18 e domenica 19 a Dakar e nel resto del Paese, portando alla morte di 3 persone. Sono rimasti feriti anche dei giornalisti, tra cui alcuni corrispondenti stranieri.

Lunedi 20 è stata invece una giornata più calma. Il dispositivo di sicurezza con poliziotti armati fino ai denti pronti a bloccare l’accesso dei manifestanti a Place de l’Indépendance si è rivelato inutile nella giornata di ieri, che ha segnato una pausa negli scontri. Ma i leader del “Movimento di forze vive della nazione del 23 giugno” (meglio conosciuto come M23) hanno promesso di ritornare sul posto martedì e di sfidare il divieto del Ministero degli Interni di accedere a Place de l’Indépendance. Cheikh Bamba Dièye, sindaco della città di Saint Louis e candidato alle Presidenziali, è stato arrestato nella giornata di venerdì e rilasciato il giorno stesso; il noto politico si è espresso in maniera molto diretta: “Place de l’Indépendance ci appartiene, non è del Presidente Wade. La democrazia non esiste più in Senegal, siamo in una dittatura. La legge autorizza i candidati alle elezioni presidenziali a tenere i loro meeting su tutto il territorio nazionale”.

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L’opinione pubblica non sembra più disposta ad accettare i metodi repressivi delle forze dell’ordine e l’opposizione si dice pronta a contrastare violentemente la polizia. Un segnale forte è stato lanciato anche dai militari e paramilitari, chiamati alle urne lo scorso weekend, poiché nella data ufficiale delle elezioni saranno in servizio. L’affluenza alle urne del corpo militare e paramilitare è stata scarsissima, arrivando a malapena a sfiorare il 10%. Tra le ragioni del boicottaggio, il malcontento derivato dal mancato pagamento delle indennità, soprattutto per i militari impiegati nella Casamance, regione del Senegal scenario di un annoso conflitto.

L’incapacità dell’attuale governo di gestire la crisi e i disordini nel pieno rispetto delle regole del gioco democratico è ormai sotto gli occhi di tutti: quale futuro per Wade e per il Senegal?


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