di Luca La Gamma
La situazione delineatasi in Siria negli ultimi giorni è più complicata del previsto. Le stragi, purtroppo, stanno continuando senza sosta: è salito a 150 il bilancio delle vittime dal 6 febbraio, di cui 91 a Homs, in seguito alla massiccia offensiva militare sferrata dalle truppe fedeli al regime di Bashar al Assad.
E mentre nel Paese l’esercito governativo ha aperto il fronte a Sud puntando i cannoni dei carri armati e l’artiglieria sulla regione meridionale di Daraa, sono continuate ad arrivare drammatiche testimonianze da Homs, terza città siriana ed epicentro delle proteste, della repressione e della rivolta armata.
In alcuni filmati amatoriali si sono documentati i danni a un ospedale da campo allestito in un’abitazione privata a Bab Amro e gestito da quattro medici. In un video si sono visti corpi senza vita a terra, altri feriti con vistose fasciature impregnate di sangue.
Nonostante ciò, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha fatto sapere che «la crisi in Siria deve essere risolta senza un intervento militare esterno». In un’intervista alla NBC, Obama si è detto convinto che la strada da seguire per fermare le violenze del regime sia quella delle sanzioni, per fare pressione su Assad e favorire la costituzione di un nuovo governo di transizione.
La linea occidentale, però, continua a incontrare ostacoli dopo il veto di Russia e Cina alla risoluzione dell’ONU, che ha di fatto bloccato la situazione lasciando la Siria nel caos totale.
Nel frattempo gli Usa hanno deciso di chiudere la loro ambasciata a Damasco per motivi di sicurezza, dopo i tentativi senza esito di Washington di ottenere misure aggiuntive di protezione dell’edificio. «Abbiamo fatto la nostra parte e abbiamo piazzato barriere di cemento attorno al palazzo, ma il Dipartimento di Stato continuava a chiedere di più», ha dichiarato la portavoce Victoria Nuland, precisando che ci sono serie preoccupazioni per la protezione della rappresentanza da attacchi armati. Già nell’ottobre scorso gli Stati Uniti avevano ridotto il loro personale diplomatico in Siria, sempre per motivi di sicurezza.
Inoltre il Dipartimento di Stato americano ha invitato tutti i cittadini statunitensi in Siria a partire immediatamente e ha comunicato di aver informato il governo siriano di aver sospeso le attività della sua ambasciata a Damasco.
In questi giorni di guerriglia, anche l’Italia sta pensando di espellere gli ambasciatori siriani. Lo ha affermato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, rispondendo a un invito del premio Nobel per la Pace yemenita, Tawakol Karman.
Il veto russo-cinese alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu contro il regime siriano è stato, secondo il ministro degli Esteri, «estremamente sgradevole, non ci doveva essere perché si è basato su considerazioni di fatto e di diritto completamente sbagliate». Terzi ha inoltre sottolineato che «per mettere fine a questo orrendo massacro serve una stretta attuazione delle sanzioni e un forte isolamento internazionale verso il regime di Assad».
L’indignazione contro Mosca e Pechino è arrivata anche in Libia, dove un folto gruppo di manifestanti siriani e libici hanno lanciato pietre, uova e pomodori in direzione dell’ambasciata cinese a Tripoli. Uomini armati, che dicono di fare parte del supremo consiglio di sicurezza del governo libico, hanno protetto la sede diplomatica dai circa 50 manifestanti che hanno sventolato bandiere dell’opposizione siriana e hanno rotto delle finestre, imbrattando i muri dell’edificio. A Bruxelles, invece, una quarantina di siriani hanno occupato l’ambasciata distruggendo i ritratti del presidente Assad. La polizia è intervenuta e ha arrestato 15 persone.
Infine, la Gran Bretagna ha richiamato l’ambasciatore britannico a Damasco per consultazioni e ha convocato al “Foreign Office” quello siriano a Londra. Il ministro degli esteri William Hague, parlando ai comuni, ha aggiunto che il Regno Unito sta cercando di allargare la coalizione internazionale per le sanzioni contro la Siria e ha definito “un grave errore” il veto posto da Cina e Russia.
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