L’America antirazzista si indigna per Trayvon, ucciso da un vigilantes

di Valentina Ersilia Matrascìa

Trayvon Martin aveva 17 anni. Trayvon Martin avrà per sempre 17 anni. Lo scorso 26 febbraio dopo aver trascorso il pomeriggio nel quartiere di Sanford, ad Orlando in Florida, a guardare la partita di basket in tv in compagnia del padre della sua fidanzata, il giovane afro-americano si reca in un negozio della 7 Eleven per comprare dei dolci. Trayvon è completamente disarmato ma indossa il cappuccio della felpa. Tanto basta ad insospettire George Zimmerman, vigilantes volontario che ritiene – come dirà all’operatore del 911 – che abbia “un’aria losca, è drogato o qualcosa di simile”. Incurante delle indicazioni dell’operatore che gli consiglia di non intervenire, Zimmerman segue Trayvon e tra i due scoppia una lite durante la quale, come riferirà un amico del ragazzo in collegamento telefonico, non manca di apostrofarlo con “fottuto negro” e altri insulti razzisti. Pochi istanti e Zimmerman estrae la pistola e spara. Inutile l’intervento della polizia, Treyvon è già morto. Nessuna incriminazione e nessuna condanna per Zimmerman. “Ho agito per legittima difesa”, afferma il vigilantes. Secondo la legge “Stand Your Ground” in vigore dal 2005 nello stato della Florida e in altri 20 stati americani, infatti, non è punibile l’omicidio per autodifesa, anche se dalla semplice sensazione di minaccia.

Obama si è rivolto ai genitori del ragazzo per esprimere la sua vicinanza: “Quando penso a questo ragazzo penso alle mie figlie, se avessi un figlio assomiglierebbe a Trayvon. “Credo che ogni genitore in America sia in grado di capire perchè sia assolutamente imperativo indagare ogni aspetto di questa vicenda”. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza per chiedere giustizia. “Vogliamo vedere Zimmerman in aula con le mani legate alla schiena, incriminato per la morte di un ragazzo, Trayvon Martin!”, ha gridato il reverendo Al Sharpton, organizzatore della dimostrazione.


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