di Luca Iacoponi
Il 16 Marzo il Consiglio dei ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo che regolamenta le “condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati” (Blue Card). L’approvazione recepisce la direttiva del Consiglio europeo 2009/50/CE. Un fascicolo di 6 capitoli che intende determinare, come si legge tra le considerazioni iniziali, come trasformare la “fuga di cervelli” in un vero e proprio “afflusso di cervelli”.
Nella direttiva troviamo scritto che gli stati membri sono chiamati ad attivare la BlueCard, un tesserino rilasciato a un cittadino di un paese terzo in possesso dei requisiti ISCED necessari per svolgere un lavoro qualificato. La carta ha validità per un periodo compreso tra uno e quattro anni, a discrezione dello stato membro, e permette al lavoratore: il soggiorno senza ulteriori permessi per se stesso e la sua famiglia e il riconoscimento di tutti i diritti dei cittadini comunitari quali la libertà di associazione, il diritto all’istruzione, la tutela del lavoro, il versamento dei contributi etc etc.
“Lo scopo”, si legge nel comunicato stampa del CdM, “è quello di riconoscere alla migrazione legale un ruolo di rafforzamento dell’economia e della conoscenza europee, incrementando al tempo stesso la competitività delle imprese e la capacità di attrarre lavoratori stranieri di alto profilo formativo e professionale”.
Nonostante le molteplici critiche che la BlueCard ha raccolto nel corso di questi tre anni è innegabile l’importanza di un’iniziativa come questa in un mondo sempre più proiettato verso l’interculturalità. L’integrazione e l’osmosi culturale possono essere realmente la chiave di svolta e, anche se in ritardo, anche la classe dirigente italiana sembra averlo capito.
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