di Valentina Severin
Dopo quindici anni di battaglie tra Nelson Madela e Big Pharma e gli anni devastanti della presidenza di Thabo Mbeki, in Sudafrica si sta meglio. Un risultato sudato e per niente scontato, che l’ottusità del governo Mbeki ha rischiato di compromettere in modo irreparabile. Ma quanti conoscono la storia della lotta sudafricana all’Aids?
MANDELA VS BIG PHARMA – La strenua lotta di Nelson Mandela contro l’Aids e Big Pharma è iniziata nel 1997. L’epidemia stava mettendo in ginocchio il Paese, infettando circa tre milioni di persone e uccidendo centomila persone l’anno.
I nuovi farmaci antiretrovirali erano in circolazione da poco, praticamente inaccessibili al Sudafrica, non solo per il costo proibitivo (più di diecimila dollari l’anno per il singolo trattamento), ma anche per il brevetto che li proteggeva.
Mandela, allora, promulgò il Medical Act, una legge che consentisse la produzione locale o l’importazione di farmaci, in deroga alle norme sui brevetti e, quindi, a un costo decisamente inferiore. Scatenando Big Pharma.
I presidenti delle 39 più grandi industrie farmaceutiche misero in campo un vero e proprio esercito di avvocati e avviarono un’azione per bloccare l’applicazione del Medical Act. Secondo Big Pharma, il Ministero della Sanità sudafricano avrebbe assunto poteri arbitrari, tali da violare tutti gli accordi internazionali sul commercio.
VINCE MANDELA – Forte dal punto di vista economico, Big Pharma tuttavia si trovò circondata dall’opposizione dell’opinione pubblica, schierata al fianco di Mandela e del Sudafrica. E molte organizzazioni umanitarie lanciarono campagne di boicottaggio dei prodotti delle case farmaceutiche. Le forti pressioni internazionali e il crollo d’immagine convinsero Big Pharma a ritirarsi dal processo, nel 2001, sancendo una sconfitta epocale degli interessi commerciali in campo medico.
A mandare in fumo quattro anni di lotta in difesa dei diritti umani ci pensò il successore di Nelson Mandela, Thabo Mbeki.
CATASTROFE MBEKI – Appena insediato, il nuovo presidente sudafricano abbracciò incondizionatamente la teoria negazionista sulle origini dell’Aids. Teoria assolutamente infondata e screditata dal mondo scientifico, che negava ogni nesso causale tra Hiv e Aids, ovvero che il virus provocasse la malattia.
Naturale conseguenza della teoria fu quella di considerare inutile, se non dannosa, la cura dell’Aids attraverso i farmaci antiretrovirali, a sostituzione dei quali venivano consigliati rimedi naturali.
Quella che Mbeki portò avanti durante la sua presidenza fu una sconsiderata politica di diffusione di dubbi, incertezze e susperstizioni, che sbarrò la strada alle cure dei malati di Aids.
“L’insipiente ostruzionismo di Mr. Mbeki – scrisse Nicholas B. Kristof sul New York Times, nel 2003 – ha ucciso incomparabilmente molti più sudafricani di ogni altro leader ai tempi dell’apartheid. È imperdonabile che il paese africano con le migliori infrastrutture sanitarie sia quello con il più alto numero di persone infettate e malate”.
Il governo di Mbeki fu definito “ottuso, dilatorio e negligente” anche da Stephen Lewis, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per Hiv/Aids in Africa, che visitò il Paese nel 2006.
Solo con un imperdonabile ritardo il governo di Mbeki introdusse il programma pubblico per il trattamento antiretrovirale. Tuttavia, fino alla fine del suo mandato, nel 2008, l’allora Ministro della Sanità Manto Tshabalala-Msimang, soprannominata “Dottor barbabietola”, continuò continuato a raccomandare alla popolazione di curarsi con ortaggi e rimedi naturali.
PRESIDENZA ZUMA – Quando Jacob Zuma, successore di Mbeki alla presidenza, nel 2009 prese in mano le redini del Sudafrica la situazione sanitaria del Paese era catastrofica: le persone portatrici di Hiv erano 5,6 milioni e 310.000 erano i decessi da Aids.
Il quadro peggiore in tutto il continente africano. Al quale si aggiungevano sempre più profonde diseguaglianze nella salute tra bianchi e neri. Per rendersene conto basta guardare i dati riguardanti la mortalità infantile dell’epoca: del 7 per 1.000 nati vivi tra i bianchi e del 67 per 1.000 nati vivi tra i neri. Il tasso di malnutrizione dei bambini neri era del 28,4 per cento, contro l’1,1 per cento dei bambini bianchi.
L’organizzazione sanitaria era fortemente privatizzata e la spesa sanitaria pubblica di gran lunga inferiore a quella privata: 160 dollari pro-capite contro 265 dollari pro-capite.
Zuma trasformò radicalmente la politica sanitaria lasciatagli in eredità dal suo predecessore, cambiando profondamente anche il drammatico stato di salute della popolazione sudafricana,
PROGRESSI – Sotto il governo Zuma il numero dei pazienti trattati con farmaci antiretrovirali è aumentato del 50 per cento, con una copertura passata dal 40 al 60 per cento, mentre si è dimezzata la trasmissione dell’infezione da Hiv dalla madre al feto.
Il piano sanitario messo in piedi da Zuma si è posto l’obiettivo di ridurre almeno della metà il numero dei nuovi casi d’infezione, di raggiungere la copertura terapeutica dell’80 per cento dei pazienti e di dimezzare i nuovi casi di malattia e la mortalità per tubercolosi, patologia fortemente associata all’Aids.
Tra le misure prese dal governo Zuma, rientra anche l’istituzione di un’assicurazione sanitaria nazionale, che garantisca a tutti i cittadini sudafricani, indipendentemente dal reddito, l’assistenza sanitaria essenziale.
Il progetto è stato avviato da qualche in dieci distretti “pilota” ed entro cinque anni dovrebbe estendersi a tutto il Paese.
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