“Nel principio stesso di democrazia è presente l’uguaglianza tra uomo e donna”. Rovesciati i governi autoritari, le donne della primavera araba continuano la loro lotta per una società diversa, più equa. Questo desiderio di cambiamento è stato il fulcro di un dibattito ospitato dal Parlamento Europeo, che ha visto come ospiti proprio le protagoniste della ribellione nordafricano-mediorientale. Perché il tempo è giunto. The time has come.
di Gabriele Aluigi
Le abbiamo viste scendere in piazza, manifestare, protestare, riprese dalle telecamere di tutte le televisioni mondiali, lodate e descritte con ammirazione dai giornalisti che hanno osservato il loro fervore nella ribellione storica contro i regimi dittatoriali del nord Africa nel corso della Primavera Araba dell’anno scorso. Sono le donne tunisine, le donne libiche, le donne egiziane, donne che hanno scelto di divenire parte attiva del processo di rivoluzione societaria verso la democrazia, spinte da quel desiderio di un futuro migliore che per decenni ha accompagnato le popolazioni degli Stati nord africani e del vicino Medio Oriente.
Ad oltre un anno dall’avvio degli storici avvenimenti della Primavera Araba, un dibattito moderato dall’europarlamentare Silvia Costa in collaborazione con il Mediter Network ha focalizzato l’attenzione sulle protagoniste dei movimenti rivoluzionari. Ospiti dell’incontro, svoltosi in un’aula del Parlamento Europeo, sei donne: Farida Allaghi, attivista per i diritti umani ed esperta di sviluppo internazionale, Soukeina Bouraoui, direttore esecutivo di CAWTAR, Samira Baghdadi, direttore del settore sviluppo sociale per la fondazione Safadi, Rita El Khayat, antropologa e scrittrice, Benedetta Oddo, senior advisor for Partnership Building nella regione Euro-mediterranea, e Joanna Azzi, responsabile agli Affari per l’Ambasciata Libanese a Bruxelles. Tra testimonianze, impressioni, analisi e prospettive, hanno mostrato come il processo di cambiamento che ha invaso le loro vite e quelle di migliaia di altre donne e giovani conterranei non si possa ritenere concluso, né tanto meno che la strada verso la parità tra uomini e donne abbia raggiunto traguardi ragguardevoli.
La distanza culturale tra la “giovane” e la “vecchia” generazione si pone ad ostacolo alla creazione di quella collaborazione tra donne e uomini che, agli occhi di Soukeina Bouraoui, tunisina, è “fondamentale per lo sviluppo di uno Stato. Gli uomini arabi devono capire la necessità di cambiare: l’economia e la società araba non può soffrire questa situazione”. “Nelle giovani generazioni uomini e donne stanno insieme, collaborano insieme”, incalza Farida Allaghi, libica. E se l’immagine proiettata in aula di una ragazza tunisina sorretta sulle spalle da un ragazzo mentre protesta vivamente contro l’ex regime di Ben Ali diventa l’icona delle proteste in Tunisia, cozza allo stesso tempo con il racconto di Benedetta Oddo: “Qualche hanno fa ero il capo di un progetto di potabilizzazione dell’acqua a Gaza. Sono stata invitata a pranzo da alcuni colleghi uomini, ma giunta a casa loro, mi fecero accomodare nella parte di casa riservata alle donne. Dovevamo parlare di lavoro, ma non potendo sederci alla stessa tavola, fummo costretti a dialogare a distanza, da una stanza all’altra, urlando – descrive – La comunicazione era impossibile, al punto che il capo famiglia mi prese per un braccio invitandomi alla sua tavola”.
In effetti il binomio democrazia e collaborazione tra uomo e donna risulta essere difficilmente separabile; anzi, per la verità non dovrebbe neanche esistere come binomio, in quanto nel principio stesso di democrazia è presente l’uguaglianza tra uomo e donna. Questa è la vera rivoluzione verso la quale non solo le donne, ma tutti i popoli protagonisti della Primavera Araba hanno dimostrato di volersi dirigere e che le generazioni più giovani hanno già fatto propria.
“Non c’è democrazia senza donne – ha sottolineato Samira Baghdadi, libanese – esse devono battersi per uscire dall’inferiorità, da un sistema di dominio che le opprime. Bisogna dare alle donne gli strumenti per battersi e rivendicare i propri diritti”. Il cambiamento è in corso. O, per dirla con le parole di Farida Allaghi, libica, “The time has come”.
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