Filippo Marchiali ci racconta le sue impressioni da viaggiatore attento nella Tunisi post rivoluzione, tra salafiti e studenti universitari preoccupati. Mandaci anche tu i tuoi appunti di viaggio a redazione@frontierenews.it
Camminando per le strade del centro di Tunisi si incontrano molte persone: bambini che escono da scuola, donne che fanno la spesa, anziani che si riposano all’ombra. La città è sempre stata un formicaio di genti diverse, un miscuglio colorato e chiassoso, una pluralità di esistenze. C’è sempre stato posto per tutti e, se non sei di qui, difficilmente vieni accolto con poco calore. Basta fermarsi un attimo ad esaminare quei pochi metri di marciapiede per vedere una giovane donna in tailleur e tacchi a spillo uscire da un ufficio ed affiancare, per un piccolo tratto di strada, un’anziana signora vestita nel tradizionale “safsari”, che avanza piano tra la gente, tenendo un lembo del velo con la bocca.
Quello che è cambiato, però, da un anno a questa parte, è la presenza delle donne “invisibili”: le donne che portano il niqab, frutto di una scelta religiosa radicale. Indossano anche i guanti e alcune di loro non hanno neppure gli occhi scoperti. “Come fanno a vedere dove stanno andando, con chi stanno parlando?” mi domando. Quando chiedo informazioni sul niqab, i tunisini, in modo molto diplomatico, rispondono “Ognuno fa le proprie scelte”. Non saprò mai se il niqab portato da quelle ragazze è veramente una loro scelta ma spero che sia davvero così, almeno per la maggior parte di esse.
Un’ altra cosa che salta agli occhi per strada, è la presenza di molti uomini con la barba lunga (i famosi“barbus” spesso citati nella stampa di lingua francese), un’altra scelta di tipo religioso (ma certo molto meno invasiva del niqab). Mi chiedo anche quanti fra loro siano salafiti. Impossibile capirlo, impossibile ed anche inutile.
I salafiti sono gli integralisti religiosi che hanno spesso occupato le strade della capitale nell’ultimo anno e mezzo, urlando il loro odio verso tutto ciò che è straniero e non musulmano. Assolutamente non tollerati dal regime sanguinario di Ben Ali (che vietava i niqab e controllava fermamente le comunità religiose per evitare problemi col turismo ed i commerci con l’Occidente), gli estremisti vogliono ora il potere sull’intera nazione.
Ad ogni manifestazione di violenza, la risposta della società civile è sempre pronta e decisa, la risposta di quella società che è il vero motore dei fatti del gennaio 2011 e che sta lottando per non farsi “rubare” le conquiste civili ottenute.
Noura e Jihed, due giovani studenti universitari, mi chiariscono la situazione: “Il paese sta vivendo una fase molto delicata. Dallo scorso anno è aumentato molto il ruolo della religione, sembra che la popolazione si stia dividendo tra poli opposti: chi vuole la modernità e il progresso civile e chi vuole rinchiudersi nelle obbligazioni religiose restrittive, obbligando gli altri a fare lo stesso. Il governo non fa nulla, sembra che voglia spingerci verso la guerra civile e piano piano ci sta riuscendo”.
E ancora: “Adesso l’Assemblea Costituente, che è a maggioranza Ennahda (il partito religioso che ha vinto le elezioni lo scorso ottobre), sta lavorando per scrivere la nuova Costituzione. Noi siamo sicuri che non finiranno entro i termini stabiliti (ottobre 2012) e dichiareranno di avere ancora bisogno di tempo. Ci sentiamo come se ci avessero rubato la nostra rivolta, deviando il corso di quelle che erano le nostre rivendicazioni per i diritti civili, verso un nuovo modello di tirannia, questa volta religiosa”.
Infine, una constatazione che suona anacronistica, detta da un giovane di 24 anni: “C’è molta volontà di migliorare il paese, ma non sappiamo quanta forza abbiamo ancora per farlo. Speriamo che le generazioni successive non ci condannino al fallimento”.
Quello che sconvolge, non è solo l’amarezza che c’è in queste parole, ma anche, pensando all’Occidente, l’ostinato silenzio dei media europei. Per quanto tempo ancora?
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