Il Marocco e la “tempesta di anime”

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di Stefano Pacini

Visitando i suk di Fez e Marrakech non si notano vistosi cali dei turisti che li affollano. Le lingue più parlate sono francese, italiano, spagnolo, inglese. I commercianti lamentano comunque crisi, minori introiti, turisti più cauti.
Se cominciamo poi a girare per le città, i paesi, fuori dai binari strettamente turistici frequentando caffetterie, stazioni, luoghi di ritrovo dei giovani marocchini, la musica cambia ulteriormente, lo scenario si fa più cupo, la fiducia nel futuro, incerta.
Pesa senz’altro l’enorme disoccupazione giovanile in un paese che per oltre un terzo ha meno di vent’anni. Pesano le minori rimesse economiche dei milioni di marocchini che lavorano all’estero, colpiti anch’essi dalla crisi. Ma pesa, soprattutto, la disillusione creata dalle riforme effettuate dal giovane sovrano Re Mohammed VI che, allo scoppiare impetuoso della primavera araba, giocò d’anticipo promulgando una nuova costituzione, riducendosi il potere quasi assoluto, trasferendolo in buona parte al primo ministro e indicendo nuove e più libere elezioni. La tornata elettorale del novembre scorso, vinta dal partito islamico moderato della giustizia, e l’insediamento del nuovo governo guidato da Abdelilah Benkirane, hanno creato molte aspettative. Ma col passare dei mesi la situazione non mostra miglioramenti, anzi. Sono in molti a parlare a voce sempre più alta dello strapotere economico della lunga mano reale, che ha il controllo delle principali banche e dell’agro business del Paese. Alcuni arrivano a calcolare che il giovane Re abbia raddoppiato i suoi beni. E non è che la libertà di critica sia poi così ampia se è vero che è stato arrestato per la seconda volta il rapper Haqed, amato dai giovanissimi.
Se poi aggiungiamo la mobilitazione delle Forze socialiste e del Sindacato che hanno indetto con successo uno sciopero generale e manifestazioni in tutto il Marocco, si può capire che non sono in vista tempi facili per il sovrano e la sua corte, anche se nessuno, neppure negli ambienti più oltranzisti, auspica o teme uno scenario violento come quello libico o siriano. O per dirla con la frase di un calzolaio che ci ha salutato dopo una chiacchierata, “le tempeste dell’anima sono peggiori delle tempeste di sabbia”.


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