di Antea Paviotti
Il cioccolato, considerato un bene di lusso al suo arrivo nell’Europa del Seicento, aveva addirittura un valore sacro presso i popoli precolombiani, dai quali proviene.
I Maya furono i primi grandi coltivatori della pianta del cacao, fin dai primi secoli dopo Cristo. Da essi ci deriva il nome “cacao”: un vaso del V secolo trovato in una tomba in Guatemala, infatti, al cui interno sono stati rinvenuti dei resti di una bevanda di cacao, porta un’iscrizione di due segni fonetici che rappresentano la parola kakaw. La parola “cioccolato” invece deriverebbe dagli Aztechi, che chiamavano una delle loro bevande cacaoatl, “cacao-acqua” (atl significa acqua in nahuatl).
Gli ingredienti principali della bevanda del cacao infatti erano i semi di questa pianta e l’acqua. I Maya facevano fermentare i semi per alcuni giorni (dai due agli otto), in modo che il prodotto ottenesse la sua aroma e il suo sapore caratteristici; successivamente venivano aggiunti diversi ingredienti, come soprattutto il mais, ma anche il miele, la vaniglia, altre erbe, frutti e fiori, e infine l’acqua. La bevanda veniva mescolata non con cucchiai o mestoli ma versandola da un vaso all’altro. La schiuma in superficie, che si può notare in alcune raffigurazioni, testimonia la fermentazione dei semi del cacao.
Anche se il cacao veniva bevuto generalmente freddo, non mancano testimonianze di un consumo della bevanda calda; talvolta, inoltre, i semi venivano tostati e mangiati direttamente, per le loro proprietà nutritive ed energetiche. Il consumo del caco era ristretto: lo bevevano solo i re, i nobili e i guerrieri, alla fine dei banchetti o in cerimonie e occasioni rituali particolari. Alla popolazione era interdetto, pena la morte! Il cacao infatti, come il mais, era considerato un cibo che proveniva dagli dei, sacro e non accessibile a chiunque. A volte, durante i sacrifici di ringraziamento, veniva offerto alle divinità mescolato al sangue dei sacerdoti, i quali si procuravano delle ferite da soli; altre volte, al cacao veniva aggiunto un pigmento rosso, derivato dai semi di achiote, che simulava il sangue. Per la cosmologia mesoamericana, il sangue umano, così come i prodotti di sostentamento della comunità, dovevano essere offerti in sacrificio di ringraziamento alle divinità, le quali abitavano generalmente la terra e producevano i frutti dui cui gli uomini si nutrivano, garantendo loro la vita. È per questo suo grande valore, probabilmente, che i semi del cacao venivano usati anche come moneta nell’economia precolombiana.
Gli Aztechi sembra consumassero il loro cacaoatl caldo più che freddo. Con l’arrivo degli spagnoli, la preparazione della bevanda subì alcune modifiche: non si aggiungevano più pepe e peperoncino, ma zucchero e vaniglia per rimediare all’amarezza del prodotto. La ricetta del “cioccolato” più diffusa nel Sei e Settecento sembra essere quella fatta con cacao, zucchero, cannella e a volte vaniglia: così la bevanda venne importata e cominciò a difondersi, attraverso la Spagna, in tutt’Europa.
Ancor oggi, presso alcune comunità maya, il cacao è bevuto durante occasioni particolari: la nascita di un bambino, il battesimo, la richiesta della mano di una donna che si vuole prendere in sposa, il matrimonio, i funerali e i progetti di lavoro comunitari, come la costruzione di una casa o di un tempio che coinvolga tutta la comunità. Alle donne incinte, parenti e amici portano in dono il pozole, bevanda di cacao e mais che dà vigore alla mamma e fortifica il bambino.
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