di Luca Iacoponi
Mentre in Italia qualche attempato politico si lamenta per le poche ferie che il governo Monti permette all’affannatissimo parlamento, in Messico c’è un gruppo di persone che ad andare in vacanza proprio non ci pensa. Mentre nel nostro Bel Paese suona strano avere un presidente del Consiglio quanto meno rispettato, a sud del Texas c’è uno stato che si è stancato di accettare passivamente una classe dirigente falsa e corrotta. Anche in Messico tira aria di rinnovamento; non da politici, comici, pluri-indagati o ricchi imprenditori, ma da un gruppo di studenti, 131 per la precisione.
Andiamo con ordine. E’ l’11 maggio e Enrique Peña Nieto, candidato per Partido Revolucionario Institucional (PRI), abbuffandosi di campagna elettorale in vista delle elezioni del 1 Luglio, con le sembianze di un divo di Mexihood, arriva in visita all’Università Iberoamericana (UIA), centro di studi gesuita più caro e prestigioso del paese. Enrique, che sarebbe perfetto per il nostro emiciclo, è alla guida del partito che ha governato negli ultimi settant’anni, dopo la rivoluzione. Nel 2006, questo affascinante quarantacinquenne è stato responsabile di una delle peggiori repressioni della storia messicana che ha portato alla tortura e alla morte decine e decine di persone. A San Salvador Atenco una regolare situazione di ordine pubblico si trasformò in uno dei peggiori teatri del bestialismo federale. Circa duemila poliziotti in assetto da guerra vennero mandati a reprimere la protesta dei venditori ambulanti. Due ragazzi uccisi, decine i feriti, almeno 26 le donne violentate. L’ordine di questo scempio venne direttamente dalle labbra di Peña Nieto, il quale si è sempre difeso dicendosi estraneo al comportamento della polizia, una sorta di massacro a sua insaputa. Questa è solo, si fa per dire, una delle ombre sullo scintillante cammino del favorito alle elezioni venture.
Torniamo all’11 Maggio. Già dalle prime battute si capisce che la partita riserverà delle sorprese. Gli scagnozzi di Peña Nieto tentano di corrompere con 200 pesos (poco più di 10 euro) gli studenti affinchè non facciano domande imbarazzanti. Quello che forse non è chiaro loro è che la UIA ha una retta da 10mila euro l’anno e questi giovani figli di papà, almeno così li credeva la leadership, non si lasciano certo corrompere a caramelle. La conferenza inizia e quello che doveva essere l’unico show del divo si trasforma in un tiro al segno. Le frecce sono le domandi incessanti degli studenti, il bersaglio Peña Nieto e la sua candidatura.
Il candidato si trova impreparato di fronte alla valanga di domande scomode, di richieste intelligenti e di provocazioni e non sa cosa rispondere. E’ impacciato, vago, imbarazzato e incompetente di frotne alla marea di studenti. La conferenza finisce e a sommergere il povero Peña Nieto non sono più le puntigliose interrogazioni degli studenti ma i fischi. A centinaia gli urlano contro sia dentro l’auditorium Jose Sanche Villaseñor sia nelle strade del ricco quartiere di Santa Fe. Accerchiato, si vede costretto a rifugiarsi nei bagni della struttura. Come il miglior “Big Brother” di Orwelliana memoria, i media lobotomizzati dal governo minimizzano l’accaduto, come se questi ragazzi fossero solo dei buontemponi, o addirittura non ne parlano, occhio non vede cuore non duole.
Politici del PRI non si risparmiano insulti, offese generalizzate e seguendo le migliori tradizioni dicono che quegli studenti non erano altro che figuri pagati dalle opposizioni, quando a provare a pagare sono stati loro stessi. Gli studenti non possono tacere e così creano un video che pubblicano su YouTube dove, tesserino alla mano, dicono di essere studenti,131, e sono indignati.
Immediatamente dal Web arriva l’appoggio ai primi 131, con un movimento chiamato YoSoy132. Il movimento chiede libertà di espressione, un’informazione che cerchi la verità, non che la infanghi, ambisce a una classe dirigente pulita, chiede la fine di questo governo corrotto che nugli ultimi sei anni di violenze ha causato 60mila morti e 10mila desaparecidos. Partono le prime manifestazioni. Centinaia di studenti di università pubbliche e private si riuniscono, sotto nessuna bandiera, nessun colore, nessun leader. Smuovono le coscienze, fanno informazione, aprono gli occhi. I leader politici sono allo sbaraglio, nessuno sa come arrestate l’onda di studenti. Ancora una volta, il motore dominante è la rete. Sabato l’ultima manifestazione del movimento con la speranza di scombussolare ancora il voto. Pochi giorni fa alcuni sondaggi davano comunque Peña Nieto in vantaggio con il 42%, ma come i messicani voteranno o decideranno di agire nei mesi futuri per fortuna non ci è ancora dato saperlo.
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