Cambogia, operai sfruttati e sottopagati per fare magliette Adidas per le olimpiadi

di Emilio Garofalo

Quando gli atleti delle nazionali olimpiche, all’avvio di Londra 2012, scenderanno in campo sfoggiando divise firmate “Adidas”, saranno in molti a pensare a Phnom Penh, la calda capitale della Cambogia. In quel lembo di terra, dove le acque del fiume Mekong abbracciano quelle fresche del Tonlé Sap, sorgono, infatti, le fabbriche in cui, secondo rivelazioni sfociate, poi, in un’inchiesta ufficiale (tuttora in corso), sono stati prodotti i completi che, a partire dalla prossima settimana, saranno indossati dagli olimpionici.

Quella scovata nel sud est asiatico è una vera e propria rete del tessile, che impegnerebbe donne e uomini cambogiani, costringendoli a ritmi massacranti. Una decina d’ore di lavoro al giorno, con un solo turno settimanale di riposo, per una paga di 12 euro a settimana. Dall’ufficio stampa della multinazionale tedesca, si sono affrettati a diffondere secche smentite circa ogni ipotesi di sfruttamento, ma, allo stesso tempo, i rappresentanti del colosso sportivo hanno confermato l’esistenza di queste fabbriche.

Il sospetto, nonostante i comunicati stampa e le difese affidate ai portavoce, è che, proprio all’interno di queste strutture, siano state ripetutamente violate le norme del comitato organizzatore per i Giochi Olimpici. Con un investimento multimilionario, il gruppo tedesco dell’Adidas si è segnalato come primo sponsor dei Giochi. Inoltre, ha prodotto la linea sportiva della stessa nazionale inglese.

Presentazione ufficiale, spot pubblicitari a corredo dei vari prodotti e l’importante firma della stilista Stella McCarteny, secondogenita di Sir Paul, storico bassista dei Beatles. Un mondo colorato, luccicante, dove continuano a circolare tanti soldi, ma che rischia di finire sommerso da un nuovo scandalo. I presunti e reiterati illeciti legati all’indotto della produzione e del merchandise di Londra 2012 sono venuti a galla dopo le denunce di alcune lavoratrici sfruttate.

Il lavoro, nelle fabbriche dell’Adidas, non consentirebbe loro nemmeno l’acquisto dei beni di prima necessità o degli alimenti. Come il riso, ad esempio: disponendo di meno di 12 euro a settimana (parte della paga viene, spesso, divisa con i familiari) non se ne può trovare a sufficienza per soddisfare il fabbisogno personale. E così, spesso, dopo massacranti turni di lavoro, le lavoratrici cambogiane finiscono per mangiare meno di tre volte al dì. “E il cibo che possiamo permetterci – ha raccontato Soun So Phat, 30enne, madre di due bambini – è di scarsa qualità”.

E non solo il cibo, ma anche le condizioni abitative sono commisurate alle reali e scarse possibilità economiche delle tessitrici di Phnom Phenh. Vivono in gruppi da cinque, in piccole stanze singole. Dormono, alle volte anche in tre, su dure reti di legno. Nei dormitori, si può contare su un solo servizio igienico, sistemato a pochi metri dagli spazi adibiti alla preparazione dei pasti.

Secondo l’industria sportiva, le condizioni denunciate sarebbero in linea con i parametri economici e finanziari del mercato del lavoro del Paese. I salari garantiti dall’Adidas ai suoi operai sarebbero equiparati a quelli della restante parte della popolazione occupata nel settore della produzione tessile e nelle altre fabbriche di abbigliamento. Ciononostante, il gruppo societario ha annunciato imminenti interventi sulle bustepaghe, decidendo per un aumento delle retribuzioni. Con un’aggiunta, però, di lavoro extra: due ore in più al giorno.


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