di Emilio Garofalo
Il suo obiettivo era, ed è tuttora, garantire l’indipendenza dell’Azawad, uno stato del nord del Mali non riconosciuto dalla Comunità internazionale e dallo scorso 4 aprile proclamatosi indipendente, a seguito di durissimi scontri tra i ribelli Tuareg e l’esercito maliano.
Stiamo parlando del gruppo laico Mnla (Mouvement national de libération de l’Azawad), che, dopo la presa del capoluogo Gao e di Tumbuctu e, soprattutto, dopo un sogno democratico durato nemmeno tre mesi, è stato cacciato. Nemici del gruppo indipendentista, e artefici della repentina fuga dei rivoluzionari, sono le cellule di al-Qaeda del Maghreb islamico e gli alleati jihadisti. I ribelli erano giunti nel Mali carichi di grandi speranze e con scarsi mezzi.
Sono ripartiti, avendo visto disperdersi le prime e diminuire ulteriormente i secondi. Hanno abbandonato la regione nordafricana, dopo una durissima lotta sfociata nel sangue, percorrendo a ritroso le strade del “sogno”, le periferie maliane, risalendo il fiume Niger.
E non sono soltanto le truppe indipendentiste a fuggire. Anche le famiglie, numerosi adolescenti, tra cui molti studenti, stanno riparando verso il territorio meridionale del Mali. In queste ore, pertanto, i Mnla stanno avanzando la richiesta di sostegno alla comunità internazionale. Sarebbero nascosti in quelle che sono state definite “posizioni strategiche” e sarebbero impegnati nella messa a punto della controffensiva.
Richiesta raccolta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che si è detto pronto a schierarsi a fianco dei Mnla per aiutarli a ripristinare gli equilibri politici nei territori del nord. Anche la Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) ha dichiarato di voler intervenire nel nord del paese. In questa settimana si terrà, in Costa d’Avorio, un vertice dei suoi leader: la situazione del nord del Mali sarà il punto chiave dell’ordine del giorno.
Dalle colonne del quotidiano algerino “el-Khabar”, i Tuareg hanno reso nota l’“entrata in guerra” contro le formazioni terroriste che occupano le città del Mali del nord. Nel comunicato dei ribelli, sono riportate accuse vibranti rivolte alle autorità del Paese.
Colpevoli, secondo i rivoluzionari, di non aver mai contrastato i terroristi di al-Qaeda, di non aver mai combattuto gli alleati jihadisti e, in fine, di aver finanziato le cellule terroriste del nord, col risultato di consegnare il Mali in mano agli islamisti. Di fatto, le terre del nord sono, ora, sotto il controllo dei terroristi, amministrate col fuoco e con il fondamentalismo religioso.
Il portavoce del gruppo Mnla, Musa Agh al-Sarid, nel rivolgere questo attacco frontale alle autorità, ha anche spiegato che, con la rivoluzione, i ribelli non intendono colpire l’Islam, né tantomeno attaccare gli arabi. Quello che la sta muovendo, è un sogno laico: uno stato democratico (che è anche uno Stato ricchissimo di risorse energetiche) in cui tutte le tribù maliane (i songhai, i fulano, i tuareg, gli arabi) possano vivere in libertà e nel reciproco rispetto.
LA DISTRUZIONE DEI MAUSOLEI Fatou Bensouda, il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), ha detto che la distruzione dei mausolei da parte degli islamisti che controllano la città di Timbuctu, nel Mali settentrionale, è un «crimine di guerra» che può essere perseguito dal Cpi. Gli islamici di Ansar Dine hanno distrutto almeno tre dei 16 mausolei di Timbuctù e minacciano l’inestimabile patrimonio artistico-culturale della città. Venerdì, accogliendo la richiesta del Governo, l’Unesco aveva iscritto la città nella lista dei Patrimoni dell’umanità in pericolo.
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