Sotto la spinta delle nuove Forze Repubblicane unite, una coalizione di dissidenti irlandesi, tra le grandi valli del “Paese Verde”, starebbe nascendo un’organizzazione intenzionata a raccogliere l’eredità dell’Ira, lo storico gruppo terrorista dell’Irlanda del Nord, nato alla fine degli anni 60 per contrastare la presenza dominatrice britannica nei confini del Paese.
Rivolta armata, attentati, attacchi, azioni finalizzate alla destabilizzazione dell’ordine politico: sarebbero questi i principali obiettivi del nuovo gruppo. E non è un caso che la nuova Ira annoveri, al suo interno, dissidenti terroristici che vorrebbero del tutto sostituire, con la loro organizzazione, la “Provisional Irish Republican Army”.
Rigurgiti di rivoluzione, dunque, esplosi proprio a ridosso dei Giochi Olimpici in corso a Londra e finiti, in esclusiva, sulla prima pagina del “Guardian”. E’ dalle colonne del quotidiano britannico, infatti, che le forze Repubblicane si sono “presentate” ai popoli inglesi e irlandesi, dichiarando, con un comunicato stampa, di aver dato vita a “una struttura unificata sotto un unico comando, fedele alla Costituzione dell’Esercito Repubblicano d’Irlanda”.
La nuova generazione di rivoluzionari si è detta “pronta a riprendere le ostilità contro il Regno Unito”. Sono state additate, come obiettivi sensibili dei dissidenti, anche le forze di polizia e dell’esercito britanniche: un motivo di grande preoccupazione per l’esecutivo inglese, che si trova a dover gestire il primo episodio di coalizione rivoluzionaria dal 1998, anno in cui, a Belfast, fu sottoscritto, dai rappresentanti dei partiti politici nordirlandesi, l ‘Accordo del Venerdì Santo, una sorta di patto di non belligeranza.
Patto venuto meno proprio in queste ore, in cui sono tornati in prima pagina i comunicati stampa a sfondo rivoluzionario e paramilitare, probabilmente firmati dagli stessi dissidenti armati, e già addestrati al combattimento, nonché impegnati recentemente in una durissima campagna armata contro i clan del traffico di stupefacenti a Derry, in Irlanda del Nord.
Dalla difesa del territorio, al superamento delle fratture interne all’establishment repubblicano. Dalla lotta alle violenze subite dalle forze della Corona (colpevoli, secondo la nuova Ira, di violenze in danno dei repubblicani “non allineati”) all’individuazione di obiettivi sensibili, spesso coincidenti con caserme, o filiali del potere britannico: posti, insomma, in cui è affissa l’effigie reale. Posti da colpire, perché “fino a quando il Regno Unito continuerà a negare il nostro diritto all’indipendenza, le nostre azioni di disturbo continueranno”.
Il messaggio, a Londra, sarebbe giunto forte e chiaro. E non bastano le idiosincrasie interpersonali, pur presenti nella compagine rivoluzionaria, a “tranquillizzare” la Gran Bretagna. Il conflitto nordirlandese, cominciato nel 1969, lo stesso che ha visto fiumi di sangue civile scorrere lungo le strade d’Irlanda e ha dato vita a violenti episodi di repressione armata (su tutti, quello del 1972, nella “Bloody Sunday” di Derry), quel conflitto combattuto con le autobombe, con i razzi incendiari, da studenti, militanti e soldati, e passato attraverso fugaci momenti di distensione diplomatica, continua.
Emilio Garofalo
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