Libia, donne incinte torturate in carcere

Ieri la polizia libica ha sparato sui profughi affamati del carcere di Sibrata Mantega  Delila (Tripoli),  che chiedevano il cibo che non ricevono ormai da due giorni. La notizia è stata diffusa da padre Moses Zerai, direttore dell’agenzia umanitaria Habeshia, che è in contatto, tramite telefono cellulare, con alcuni detenuti del penitenziario libico.

Un detenuto è stato picchiato all’orecchio con una sbarra di ferro ed un giovane di 18 anni, dopo essere stato colpito da un proiettile all’addome, è stato trasportato all’ospedale e qui presentato come un mercenario di Gheddafi quando in verità è un giovane richiedente asilo politico eritreo.  Alla vista dei due giovani feriti le donne detenute, tra cui alcune in stato di gravidanza, hanno iniziato ad urlare e per tutta risposta sono state colpite selvaggiamente con sedie di ferro.

Dei 350 detenuti del carcere libico 50 sono donne (6 di queste in gravidanza) e ci sono anche 2 bambini. La rivolta dei prigionieri è scattata perché anche quelli che non sono di fede islamica vengono obbligati a rispettare il digiuno del Ramadan. Il direttore di Habeshia, preoccupato per la situazione, fa un appello: “Le autorità libiche devono fermare queste violenze e tortura quotidiana a cui sono sottoposti questi profughi. Facciamo appello al governo italiano, in virtù dei loro accordi bilaterali conla Libia, affinché chiedano alle autorità libiche di fermare ogni abuso e violenza nei confronti dei profughi eritrei e di tutti gli altri detenuti, la cui vita è in pericolo. E’ diventato urgente che  questi richiedenti asilo siano presi in consegna immediatamente dell’UNHCR 3 di Tripoli. Chiediamo il rispetto della liberta religiosa, e che si impedisca ogni forma di tortura nei confronti di persone che chiedono solo asilo”.

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S.O


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