di Emilio Garofalo
Il Sudan del Sud, da regione autonoma, a Stato indipendente. Passando per la seconda guerra civile, con un tributo di due milioni di vittime. Un percorso politico difficilissimo, con un conflitto interno durato circa quarant’anni, che ha portato questa piccola regione che s’affaccia sull’equatore a dichiarare l’indipendenza. Accadeva esattamente un anno fa.
Oggi, a far notizia, insieme con la cattiva gestione della pubblica amministrazione, l’assenza di risorse e il mancato impulso all’economia locale, è il tasso di mortalità. Medici Senza Frontiere, monitorando il campo rifugiati di Jamam, nell’Upper Nile, in cui sono confluiti circa 120mila profughi scappati dallo Stato del Blue Nile, ne ha calcolato il rapporto tra numero dei decessi e popolazione: è risultato il doppio della soglia di emergenza umanitaria.
Le cause: il clima, secco e arido per alcuni mesi e freddo nella stagione delle violenti precipitazioni. Malattie epidemiologiche, diffusesi anche a causa delle grandi piogge, consumo di acqua stagnante e scarsa disponibilità di acqua potabile. Latrine straripate e fogne rigettatesi in strada. Ambienti umidi, in cui la vita si conduce al freddo, con i vestiti inzuppati. Ci sono bambini che muoiono con indosso vesti lacere e bagnate.
I medici che assistono la popolazione, tuttavia, parlano di “malattie facilmente curabili”. Nel Sud Sudan sono, infatti, le condizioni di vita a incidere enormemente sul numero sempre crescente dei decessi. Colpiti indistintamente le donne, i bambini, gli uomini e gli adolescenti che erano scappati dalle atrocità della guerra civile. Alle spalle, si erano lasciati violenze terribili. Ma nulla, ancora, sembra poter cambiare.
Tra le vittime, c’è chi, una volta superato il confine, s’era ritrovato solo, senza familiari. E c’è chi si era illuso di trovar la salvezza solo per ripiombare in un nuovo incubo: vivere e morire in campi allagati, dal terreno molle, sudicio e lutulente. Tara Newell coordina le emergenze per MSF a Jamam. Ha spiegato che la situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente e il tasso di mortalità potrebbe aumentare in modo rapido ed esponenziale.
Per arginare la catastrofe, attraverso le denunce avanzate, l’organizzazione umanitaria sanitaria ha chiesto che tutti, dall’Altro Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sino agli enti governativi, intervengano, garantendo le migliori condizioni di vita possibili ai profughi di Jamam. Sono a centinaia i volontari di MSF. Hanno già operato circa 3mila interventi.
Curano ogni tipo di malattia: insufficienze respiratorie, polmoniti, diarree da malnutrizione. E, ancora, ipotermia e insufficienze cardiache e renali da disidratazione. Ma i volontari potrebbero non bastare. Occorre garantire, alla task-force umanitaria, fondi urgenti per consentire di portare a termine le corrette procedure mediche.
E questa volta, a parlare, è Kostantinos Moschochoritis, direttore generale di Medici senza frontiere: “La vita e la sopravvivenza dei rifugiati dipende al 100% dall’assistenza umanitaria. Servono aiuti d’emergenza. Subito. Chiediamo di sostenere le nostre attività per salvare la vita di migliaia di persone”.
Intanto, nel Sud del Sudan si continua a morire. Le difficoltà di gestire ospedali e strutture in condizioni tali e quella di muoversi nel territorio con velocità e facilità(le strade, ricolme d’acqua, scoppiano) portando nutrimento, coperte, taniche d’acqua potabile, causano il decesso di nove bambini al giorno, a cui si aggiungono gli adulti (da due a quattro).
L’emergenza umanitaria si inserisce in una lunga serie di guai, cominciata, nel Paese, con la cessazione di ogni attività petrolifera. A causa della totale assenza di infrastrutture, l’economia del Sud Sudan è ferma dall’inizio dello scorso anno. Oggi, sono in stallo produzione ed esportazione del petrolio (mancano gli oleodotti). Poi, è venuta la siccità. E poi, di nuovo, le grandi piogge. E, ancora, i morti, in un crescendo che appare senza fine. Ma contro il quale si continua, nonostante tutto, a lottare.
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