Sono migliaia i “dalit” scesi in strada a Nuova Delhi, la capitale indiana: sfilano, protestano, digiunano. Sono gli appartenenti alla cosiddetta casta degli “intoccabili”. E sebbene la Costituzione del Paese garantisca piena uguaglianza dei cittadini nella tutela dei loro diritti, dilagano, nel territorio della Repubblica asiatica, le discriminazioni nei loro confronti.
Far parte degli “intoccabili” di fede cristiana o musulmana, in India, significa subire pesanti ingiustizie. Nell’esercizio quotidiano delle più comuni pratiche sociali, nella libera professione della fede, nel godimento delle comuni libertà. “Purtroppo quotidianamente siamo continuamente discriminati – ha spiegato Vijay Kumar Mothukuri, un volontario dalit – e non solo dagli indù delle caste superiori, ma anche all’interno delle stesse parrocchie e perfino nei cimiteri, dove ci sono zone separate”.
La marcia e il digiuno di massa, che stanno impegnando i “dalit” già da una settimana, si sono resi necessari per protestare contro le continue vessazioni legislative subite. La sfilata del dissenso si è conclusa ieri, con una manifestazione pacifica organizzata presso la sede del Parlamento federale.
La forza propositiva carburata nei manifestanti cristiani, uniti con i musulmani nella rivendicazione di diritti comuni, è quella del Comitato di Coordinamento Nazionale e del Consiglio Nazionale per i Dalit Cristiani e della Conferenza Episcopale Indiana. Con la spinta coordinata di questi enti, i fedeli, attraverso il loro pacifismo militante, hanno chiesto il rispetto dei diritti costituzionali, senza distinzioni di etnie o Credo religioso.
Nel “mirino” dei discriminati, la Scheduled Casts Act, l’impianto normativo attuale, ratificato negli anni 50, che prevede il sostegno economico e la tutela sociale esclusivamente per i gruppi etnico-religiosi indù, dalit Sikh (che affondano la loro radici cultuali nel Panteismo guru sikh) e buddisti.
Un trattamento palesemente iniquo nei confronti della restante parte della casta, quella formata appunto da cattolici e musulmani, che hanno scelto di lottare strenuamente (ma pacificamente) contro la negazione anticostituzionale delle loro tutele. Al loro fianco, si è schierata l’organizzazione internazionale Dalit Freedom Network.
Secondo gli osservatori, tra questi fedeli dimenticati dal legislatore ci sarebbero anche molte vittime della moderna schiavitù, che sarebbero, poi, gli obiettivi sensibili di grandi violenze: una su tutte, il traffico di essere umani che prolifera in India.
E sono la non violenza e il pacifismo attivo gli strumenti di lotta adottati dai manifestanti. Tra le loro fila, anche preti, suore, vescovi e pastori. Ministri della fede che, nella protesta davanti al Parlamento federale, sono stati anche appoggiati dagli omologhi di altre religioni. Tutti uniti, con la croce stretta in mano, a richiamare quella “sofferenza a cui siamo condannati a causa della politiche del governo”.
Emilio Garofalo
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