Dagli archivi dell’ex partito comunista bulgaro, dopo ben 23 anni, sono stati rivenuti e resi pubblici documenti che testimoniano l’esodo, non proprio volontario, di 370 mila persone di etnia turca dalla Bulgaria alla Turchia.
I fatti risalgono alla metà del 1989, quando la Bulgaria, ormai caduta la cortina di ferro, esortò Ankara a “riappropriarsi” di parte dei suoi cittadini, orchestrando un vero e proprio esodo di popolazioni che da secoli vivevano in territorio bulgaro; l’allora dittatore Todor Zhivkov giustificò, durante un congresso del Partito Comunista, che questa operazione era “giusta e necessaria” per evitare che la Bulgaria si trasformasse in una seconda Cipro e soprattutto, per evitare la scomparsa dell’etnia bulgara tra qualche decennio; l’azione venne quindi presentata, specie all’estero, come un rimpatrio “volontario” e anzi addirittura incitato dalle popolazioni turche stesse, che non vedevano l’ora di unirsi ai loro connazionali che vivevano in Tracia.
In realtà l’esodo fu tutt’altro che volontario e spontaneo, e causò l’allontanamento di migliaia di persone dalle loro case, tutto solo per il timore che, dopo la caduta del comunismo in Bulgaria, la regione a sud ovest del paese, abitata prevalentemente da popolazioni di etnia turca, potesse separarsi dal resto del paese, causando la perdita dell’importante città portuale di Burgas.
Emiliano Rossano
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