Si trova nel cuore della Germania orientale, a nemmeno dieci chilometri da Weimar, la città tedesca in cui si tenne il Congresso che diede vita, nel 1919, alla Repubblica omonima: stiamo parlando del campo di concentramento nazista di Buchenwald. Furono centinaia di migliaia gli europei internati nella struttura. E circa 60mila le vittime.
In questi giorni l’opinione pubblica della Turingia, la regione della Germania in cui si trova Buchenwald, è spaccata. Casus belli, la proposta delle autorità tedesche di inserire proprio la prigione nazista nella lista dei patrimoni sotto tutela dell’Unesco.
Contro i richiedenti si è schierato il quotidiano tedesco “Faz” (Frankfurter Allgemeine Zeitung), dalle cui colonne si è levata un’appassionata protesta, condotta attraverso la pubblicazione di commenti ed editoriali ad hoc. “Una scelta kitsch, una spinta emozionale verso il turismo della memoria”, si legge sulle pagine del giornale tedesco più diffuso all’estero.
Il quotidiano non si è risparmiato nemmeno sul fronte delle domande retoriche. “Faz”, infatti, ha lanciato un quesito provocatorio sulla metodologia di selezione dei siti operata dall’Unesco. Si è chiesto se “la straordinaria tradizione culturale, l’eccezionale bellezza naturale o la brillante arte ingegneristica del luogo” siano tali da giustificare la scelta di “proteggere” il campo di concentramento.
L’idea di assurgere a meta protetta un luogo in cui si sono consumate alcune tra le peggiori atrocità del regime nazista sembrerebbe, dunque, non piacere affatto ai tedeschi della Germania orientale. E, stando a quanto riportato dagli organi di stampa, la richiesta di tutela rivolta, dalle autorità tedesche, all’’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura “dovrebbe meravigliare”.
E sono stati, poi, gli stessi media a interrogarsi anche sulla opportunità di “realizzare un capovolgimento dei criteri del concetto di patrimonio dell’umanità“. Nel sollevare pubblicamente la questione, non hanno lesinato le parole sul campo di Buchenwald e sulle memorie a esso legate.
Decine e decine di casupole di legno, filo spinato, suddivisione dei settori, creazione di aree specifiche dedicate agli esperimenti medici su cavie umane e allo sterminio. La storia di un luogo dannato, che affonda le proprie radici negli orrori nazisti e arriva fino ai giorni nostri, con la discussa richiesta di tutela. Per il suo epilogo, si dovrà attendere il responso dell’Unesco.
Emilio Garofalo
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