di Emilio Garofalo
Siamo in Honduras, piccola nazione dell’America centrale: il governo ha deciso di inventare la prima “città privata“. Una “urbe” in cui non ci sarà posto per le rappresentanze politiche, senza alcun collegamento normativo con lo Stato d’appartenenza. Un nucleo urbano che si reggerà su proprie leggi, autoregolamenti, private consuetudini e che riporrà sicurezza e sviluppo sociale in un corpo di Polizia autonomo, indipendente e in un assetto economico liberista e personalistico.
La città, così come la conosciamo, per definizione è un insediamento che comprende una collettività umana, regolata da leggi e regolamenti, retta su un sistema politico ben definito, che garantisca un equo rapporto tra governanti e governati. Una realtà amministrativa collegata ad ampio raggio con la realtà politica dello Stato d’appartenenza. Tuttavia, l’Honduras ha dichiarato apertamente la propria intenzione di stravolgere questo impianto sociale.
L’esecutivo ha già individuato una zona papabile per fondare la prima città “privata” (termine che non sta a richiamare indipendenza o autonomia, bensì una identità completamente nuova rispetto al passato): da qualche parte, sulla lussureggiante costa pacifica honduregna. Una città che è stata già definita “modello”, perché si prefigge l’obiettivo di ripartire completamente da zero, scevra d’ogni consuetudine relativa agli assetti urbani finora conosciuti.
Il progetto è partito con la creazione di una legge quadro costituzionale. Ma, benché sia differente dalla canonicità urbana, anche in questo nucleo innovativo occorre quella forza senza la quale qualsiasi start up diventa impossibile: il denaro. Da investire in immobili, proprietà, strutture e servizi. Ed è qui che si rivela il senso della “privatizzazione”, richiamata nella ragione sociale di questi nuovi centri.
Saranno, infatti, società private a farsi carico degli investimenti necessari a “còndere” queste prime città mittleamericane: la prima a firmare un contratto con lo Stato, è stata la Mkg, un’immobiliare statunitense che ha già promesso posti di lavoro, aumento di capitale e nuovo impulso all’economia interna allo Stato. Si parla di circa 20mila posti di lavoro potenzialmente garantiti.
L’eco dell’accordo si è diffusa sino al capo opposto del pianeta: la Corea del Sud, infatti, si è detta intenzionata a partecipare alle trattative commerciali con un piano di investimento di circa 8miliardi di dollari. Un intervento che consentirebbe al Paese asiatico di intervenire, in un ruolo di primaria importanza, nella creazione dei nuovi distretti cittadini.
A seguito della stipula degli accordi, Michael Strong, della società Mkg, ha spiegato quale sarà il futuro assetto della città, alla cui fondazione intende far seguire la nascita di nuovi nuclei, di identico impianto. “Un’audace trasformazione”, secondo l’immobiliarista, una città retta da un consiglio di amministrazione (alla pari di una qualsiasi società di capitali), formato da personalità di respiro internazionale e che nominerà un governatore reggente.
I cittadini saranno, poi, autonomi nella gestione di ordine pubblico, fisco e norme finanziarie e avranno un “relativo obbligo” di rispettare il codice penale dello Stato. Stando sempre alle previsioni di Strong, la popolazione aumenterà perché sarà liberalizzato l’accesso al di qua dei confini cittadini.
Resta, però, aperta la questione dei nativi. Nella zona individuata dai “privatizzatori” vivono, infatti, gli indios Garifuna: secondo gli attivisti e le organizzazioni umanitarie, il progetto è un miserabile ritorno al passato. A pagare saranno, come sempre, i più deboli, i legittimi proprietari di quelle terre.
Problemi, questi, che non sono stati affrontati dal magnate Michael Strong, la cui entusiasta enfasi, tuttavia, si è spenta nello scetticismo di una sparuta minoranza di giudici, esperti di diritto ed intellettuali honduregni.
L’ intellighenzia del Paese, cui non piace affatto l’idea della privatizzazione, ha definito “inaccettabili” le new town e ha chiesto un intervento egli organi supremi della Magistratura affinché boccino l’intero progetto, comprese le firme già apposte in calce ai contratti.
Adesso la parola spetta al Congresso: dovrà approvare il progetto, esprimersi sulla regolarità degli accordi, esaminare le denunce e i controricorsi. E, forse, in un futuro non troppo lontano, anche le ingiustizie perpetrate in danno dei nativi.
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Una città governata da un consiglio di amministrazione… Che farà con i cittadini più deboli (malati, disabili, poveri…)?
Li licenzierà?