Mo Ibrahim ha 66 anni. E’ originario del Sudan ma vive a Londra. Ricchissimo, è un milionario che ha fatto fortuna nel campo della telefonia mobile, da sei anni a questa parte si dedica a un hobby filantropico: mette in palio 5 milioni di dollari al leader africano che abbia governato in modo migliore. Premia i politici più onesti, insomma, ripagandoli per l’efficienza del lavoro svolto.
Con una punta di rammarico, però, il magnate ha confessato che, da quando ha istituito il suo “concorso”, nel 2007, il montepremi è stato aggiudicato solo tre volte. Nel palmares, figurano:
Joaquim Chissano, ex presidente dello Stato del Mozambico, il suo omologo in Botswana, Festus Mogae, e il leader di Capo Verde, Pedro Pires.
Gli unici a essere stati insigniti del ricco bottino ma, soprattutto, dell’onorifico riconoscimento di maggiore correttezza intellettuale e politica. Il “concorso di onestà”, l’ “Ibrahim Prize for Achievement in African Leadership”, ha reso celebre il suo fondatore in tutto il continente nero. Il nome di Ibrahim, infatti, rimbalza da sei anni in tutte le stanze degli esecutivi democratici d’Africa.
Un’idea unica, la sua, basata anche su un regolamento pensato con precisione certosina. Per candidarsi, innanzitutto bisogna essere stati eletti democraticamente. Non solo, ma bisogna poi dimostrare che, durante l’anno di lavoro, siano state rispettate le scadenza del mandato e le promesse propagandate.
Ancora, la politica del proprio Governo deve essere proseguita sulla strada dell’efficienza e della onestà, senza le quotidiane tentazioni di corruzione e collusione che possono viziarla, imponendo compromessi lesivi degli interessi pubblici. E, infine, c’è l’obbligo che i lavori politici si siano conclusi in modo pacifico, per promuovere un democratico ricambio politico-istituzionale.
La promozione della trasparenza e del rispetto dei popoli è, dunque, il solo obiettivo di Mo Ibrahim, un magnate generoso, un filantropo afroinglese sui generis, ben consapevole dei limiti ma anche delle potenzialità della propria terra d’origine: “L’Africa è un continente ricchissimo, non abbiamo scuse per la nostra povertà. Il problema dell’Africa non è che mancano i fondi. Mancano i governi”.
Di qui, dunque, l’idea di premiare chi, questa presenza, la garantisce, invece, nel migliore dei modi: ”Senza una buona governance non andremo da nessuna parte –ha spiegato il milionario londinese- e solo il buon governo aprirà la strada agli investimenti e gli investimenti creeranno lavoro”.
E il lavoro, si sa, rende liberi. E la libertà consente di “badare a se stessi, far studiare i propri figli, curare le loro malattie”. Una catena di risultati positivi: Ibrahim spera che l’Africa possa presto raggiungerla. E al suo raggiungimento contribuisce non politicamente, ma con l’unico strumento in suo potere, il denaro. Messo a disposizione dalla sua fondazione di anno in anno.
La strada, però, nonostante le buone intenzioni è tutta in salita. Soltanto tre vincitori, in sei anni, è un traguardo potenzialmente valido, ma praticamente deludente. L’obiettivo del magnate, infatti, è quello di vedere diminuire drasticamente il numero delle assise esecutive corrotte, violente e antidemocratiche, diffuse capillarmente su gran parte del territorio africano.
C’è attesa, in queste ore, per l’annuncio del prossimo vincitore: il prossimo mese, l’Ibrahim Index of African Governance stilerà le nominations. In lizza, le 54 nazioni africane. La fondazione passerà al vaglio livello di sicurezza entro i confini statali, rispetto delle libertà e dei diritti civili, capacità di investimento sul territorio, stato dei servizi e delle infrastrutture. Efficienza del welfare.
La giuria, valutate e giudicate tutte queste voci, spera di individuare un vincitore e di assegnargli il premio: 5 milioni di dollari in dieci anni e un vitalizio da 200mila dollari l’anno, concesso al termine della rateizzazione quinquennale.
Emilio Garofalo
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