di Emilio Garofalo
L’inferno è scoppiato nel giorno più felice del mese, quello del versamento dello stipendio: ieri, a Karachi, la più grande città pakistana, una fabbrica tessile è stata avvolta alle fiamme. Un incendio vastissimo, che è costato la vita a 289 persone. E un’altra esplosione, nello stesso giorno, causato da una centralina elettrica malfunzionante, ha colpito anche una piccola catena di montaggio in una fabbrica di scarpe della periferia di Lahore. Si stima, senza l’ufficializzazione data da un conteggio finale, siano morte 25 persone.
In ginocchio, dunque, il Pakistan dei sobborghi operai. Come quello di Karachi, appunto, il Site, che, ospitando una catena di grandi industrie, costituisce uno dei nodi produttivi centrali del Paese asiatico. Poco meno di 20milioni di abitanti, per un macrocosmo sociale la cui economia si fonda prevalentemente sul mare e sulla produzione industriale.
E qui, gran parte di questa produzione passa attraverso gli stabilimenti del Site. Ieri, uno di questi si è trasformato in una gigantesca tomba per le centinaia di lavoratori uccisi dal fuoco: porte di servizio e antincendio chiuse e inaccessibili. Cancello di uscita e di entrata sbarrati. Corridoi stretti e passaggi impossibili da superare.
Una trappola mortale per i lavoratori divorati dalle fiamme. La cui origine, attualmente, è ancora ignota. Ma se nulla si sa sui motivi che hanno scatenato l’incendio, è certo invece che il fuoco si sia propagato grazie ai ritagli di stoffe e altri materiali sintetici e infiammabili, presenti nell’industria in grandissime quantità. I sopravvissuti hanno parlato di un disastro di enormi proporzioni, reso ancor più grave dalla velocità con cui si è consumato. “In due minuti –hanno detto alcuni operai usciti illesi dall’inferno di fuoco- tutto era in fiamme”. Ma non c’erano vie d’uscita.
Chi cercava le finestre per lanciarsi, le trovava chiuse. Chi cercava di raggiungere le vie di fuga, le trovava serrate. E chi invece riparava verso i cancelli esterni, li trovava invalicabili. Una misura per impedire la fuga dai posti di lavoro prima degli orari di chiusura e, allo steso tempo, uno strumento di prevenzione contro i furti e le rapine.
Alcuni, rompendo i vetri delle finestre, benché fossero al terzo piano e a circa 20 metri dal suolo, sono riusciti a lanciarsi. Un salto che ha salvato loro la vita. Nel giro di qualche ora, le scene più cupe del dramma si sono svolte poi all’obitorio dell’ospedale civile. Lì, sono state contate 289 vittime, molte ancora in attesa di identificazione.
“Tanti sono gli operai morti asfissiati” – ha dichiarato rabbiosamente un uomo, che poi ha rivolto dure accuse ai “padroni”, i quali “si preoccupano più di salvaguardare la loro fabbrica di vestiti e i loro affari rispetto ai lavoratori. Se non ci fossero state le griglie metalliche alle finestre, molte più persone si sarebbero salvate. E poi la fabbrica era sovraffollata. Ma chi si lamentava, rischiava il licenziamento”, ha dichiarato in fine l’operaio, stringendo tra le mani la foto di un cugino, suo collega in fabbrica, e tuttora disperso.
Le sue parole sono state confermate da un primo rapporto, presentato dalla Giunta regionale di Sindh: “le uscite di sicurezza erano bloccate, e questo ha portato a un bilancio così pesante. Le norme di sicurezza non erano rispettate. Non che questo stupisca nessuno: simili disastri incendi o esplosioni di fabbrichette, sono frequenti nelle periferie industriali di Karachi e non solo”.
A seguito dei due disastri, sono partiti controlli a tappeto in tutte le fabbriche dei quartieri industriali e dei distretti produttivi più importanti della rete pakistana. E mentre gli agenti perlustravano gli ambienti, i proprietari della fabbrica tessile sono fuggiti. Contro di loro pende una denuncia per negligenza. I loro nomi sono sulla lista di interdizione all’espatrio.
La strage dei lavoratori pakistani è stata commentata duramente dagli organi di stampa. ”La grave mancanza di sicurezza è una norma. Le mafie dei palazzinari hanno il sopravvento e il Governo ha dimostrato di non saper impedire le illegalità e le violazioni”. Queste sono le parole apparse sulle colonne del principale quotidiano pakistano, il “The Express Tribune”.
Ancora un dramma che colpisce la società pakistana, quotidiana vittima di un conflitto che si gioca sul mancato rispetto delle più elementari norme civili, sulle relazioni industriali violente e opprimenti e sulla impunità reiterata dei responsabili e dei grandi investitori. Che poi scappano, quando i lavoratori muoiono.
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