Ahmadinejad contro i gay: “L’omosessualità? Roba da capitalisti”

Il presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, si trova a New York, dove terrà, domani, un intervento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Alla vigilia della discussione ha rilasciato alcune pesanti dichiarazioni ai microfoni della Cnn. Rivolgendosi agli omosessuali, ha riservato loro un aspro commento: “I gay? Sono difesi dai capitalisti incalliti, persone che si disinteressano dell’etica e dei valori umani per inseguire la crescita del capitale, il loro unico interesse”.

La tesi del presidente conservatore è “ben” argomentata: “L’omosessualità -ha aggiunto Ahmadinejad- è un pessimo comportamento, proibito da tutti i profeti, da tutte le religioni e da tutte le fedi”. L’omosessualità, insomma, come una sorta di peccato criminale.

Un peccato che farebbe venir meno, dunque, la tesi secondo cui opporsi all’omosessualità sia una negazione delle libertà dell’uomo. Il presidente dell’Iran ha proseguito nella sua “crociata” sui gusti e sulle preferenze sessuali di ogni uomo e di ogni donna, sposando l’idea per cui l’omosessualità sia un’onta, e non una scelta o un desiderio sentimentale privatissimo e personale.

Pertanto, ha ironizzato, screditandoli apertamente, sulle formazioni politiche e sui rappresentanti di partito impegnati nella difesa dei gay. “Difendono gli omosessuali per prendere quattro o cinque voti in più”. Inoltre, Mahmoud Ahmadinejad ha indicato nell’omosessualità una causa di arresto della procreazione, altro che libertà personale. Nel ribadire questo concetto, ha poi deciso: l’omosessualità la si scopre. In pratica, gay si diventa, non si nasce.

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L’alluvione di improperi nei confronti dei gay è terminata in una domanda secca, rivolta da un giornalista: “Presidente, cosa farebbe se uno dei suoi tre figli fosse gay?”. Ahmadinejad ha glissato, ed è andato via senza rispondere.

Un siparietto “tragicomico”, quello del presidente iraniano, che già dal suo arrivo negli States aveva cominciato ad attaccare tutto e tutti, a cominciare dagli stessi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, durante un incontro ufficiale organizzato al Palazzo di vetro: “Alcune Nazioni con diritto di veto sono rimaste in silenzio riguardo alle testate nucleari di un falso regime, mentre impediscono il progresso scientifico di altre Nazioni”.

Alla sua dichiarazione, sono seguite manifestazioni di aperto dissenso. Tra le altre, quella di Ron Prosor, ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, che ha lasciato l’aula . Ha motivato il suo gesto richiamando le storiche responsabilità di Mahmoud Ahmadinejad, colpevole della sistematica violazione dei princìpi della legalità e della sicurezza internazionale. Ironicamente, Prosor ha paragonato la partecipazione del presidente dell’Iran all’Assemblea Onu alla “nomina di un piromane a capo dei pompieri”.

“Un leader –a suo dire- senza legge” che, di tutta risposta, non ha perso l’occasione di lanciare nuove e pesanti accuse contro Isreale: “Non prendiamo sul serio i pericoli dei sionisti, ma abbiamo a disposizione tutti gli strumenti di difesa e siamo pronti a usarli”. Una dura minaccia, mitigata da una riflessione distensiva finale: “Anche se siamo assolutamente pronti a difenderci, non prendiamo sul serio questi rischi”.

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Rischi, quelli di cui parla l’iraniano, che proverrebbero da un Paese che “non ha radici nella storia della regione”. Ahmadinejad ha messo a confronto i due Stati, il suo e quello di appartenenza dell’ambasciatore Proson, propendendo naturalmente a favore dell’Iran. Il suo Paese “fa parte della storia della regione da migliaia di anni” laddove lo Stato ebraico può dirsi tale soltanto “da poco più di mezzo secolo.

Emilio Garofalo

 


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