Lei è una sedicenne delle Maldive, vive nell’atollo di Raa. Il suo nome non è stato reso noto, a differenza della confessione del suo reato, resa dinanzi al Tribunale. Ha avuto un rapporto sessuale con un uomo sposato di 29 anni. I giudici, per questo, le hanno inflitto una dura punizione corporale: cento frustate.
L’incubo della ragazzina maldiviana è cominciato a seguito di una denuncia, sporta proprio dai suoi genitori. Si erano rivolti alle autorità con l’intento di assicurare alla giustizia l’amante della loro figlia, un 29enne sposato. Il rapporto sessuale, consumato al di fuori del matrimonio, era illecito, e dunque vietato dalla sharia, a causa della minore età della ragazza.
L’iter processuale è terminato con una duplice condanna a carico degli amanti: tortura fisica per la sedicenne e dieci anni di detenzione per l’uomo. L’adolescente di Raa potrà sfuggire alla punizione soltanto se deciderà di commutarla in otto mesi di prigionia, da trascorrere agli arresti domiciliari.
Una modifica che, però, stando agli ambienti interni al Tribunale, non sarà accettata. Non è raro, infatti, che “le colpevoli accettino i colpi di frusta come penitenza per il peccato commesso”- ha spiegato un responsabile dell’organo giudiziario.
Ma se la storia della giovane maldiviana senza nome ha ottenuto riscontri internazionali, molte altre donne continuano a subire violente punizioni fisiche nel silenzio del loro isolamento. Ogni anno, infatti, la frusta dei capivillaggio si abbatte sui corpi di tantissime “piccole donne” che, coi loro comportamenti privati, seguiterebbero a profanare il Corano.
A favore delle adultere, più di una volta si sono schierate le Nazioni Unite, per mezzo dell’intervento dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani. Non è passato nemmeno un anno dalle ultime pressioni di Navi Pillay, la donna a vertice dell’ente, che chiedeva incessantemente al Governo di sospendere l’inumana pratica.
Di identico calibro l’intervento di Human Rights Watch, reso attraverso i comunicati di Aruna Kashyap, responsabile dell’organizzazione per il territorio asiatico: “Le Maldive dovrebbero immediatamente abolire queste leggi discriminatorie, che prevedono punizioni disumane e degradanti”.
E sempre dalla sede di Human Rights sono giunte dure parole di commento alla sentenza del Tribunale di Raa. La decisione dei giudici sarebbe “uno dei tanti modi in cui il governo cerca di ottenere l’appoggio degli islamici conservatori”. Un effetto del condizionamento del potere giudiziario da parte di quello politico.
Ma, nonostante le denunce, la forza dei conservatori non subisce alcuna battuta d’arresto. L’anti islamizzazione radicale, infatti, si è infranta dopo l’emanazione di norme sempre più restrittive. Oltre alla fustigazione delle minori che hanno rapporti sessuali, l’applicazione rigida della sharia prevede, nel territorio dello stato insulare, l’osservazione della pratica delle mutilazioni genitali obbligatorie per le bambine e l’accertamento dell’origine musulmana per richiedere la cittadinanza.
Un impianto normativo che dà adito anche a una lunga serie di abusi, perpetrati, in danno della popolazione, dai militari. Amnesty International ha stilato un rapporto, documentando torture, violenze e pestaggi, detenzioni illecite e vessazioni inflitte agli oppositori politici e religiosi ricoverati negli ospedali del Paese.
Emilio Garofalo
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