di Valentina Ersilia Matrascìa
Molti in questi quattro mesi i silenzi e sul luogo e sulle condizioni della detenzione per “violazione dei valori islamici del popolo mauritano” di Biram Ould Dah Ould Abeid ed altri nove militanti dell’IRA (Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste), colpevoli di aver dato fuoco ad alcuni testi di giureconsulti sunniti malechiti che legittimavano la schiavitù disciplinando le relazioni tra schiavo e padrone. Arrestati il 28 aprile scorso dopo l’azione dimostrativa contro la schiavitù che – sebbene in Mauritania la schiavitù sia stata abolita nel 1981 e penalizzata legalmente nel 2007 – ad oggi risulta ancora diffusa al punto che si parla di circa 500.000 persone attualmente tenute in condizioni di schiavitù nello stato mauritano.
“In Mauritania c’è uno schiavismo clandestino, diffuso, di massa e di classe, penalizzato nel 2008 ma che persiste nella società da parte della popolazione arabo-berbera ai danni degli africani neri. Bambini vengono acquistati o affittati fin dalla nascita dalle famiglie e condannati a una condizione permanente di schiavitù dalla quale è difficile venir fuori”, aveva affermato lo stesso Biram Ould Dah Ould Abeid nel febbraio 2011 a Roma durante il 39esimo congresso del PRNTT (Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito). Solo pochi giorni prima era avvenuto il suo rilascio da una precedente detenzione iniziata il 13 dicembre 2010 per una manifestazione contro la schiavitù.
Biram Ould Dah Ould Abeid e gli attivisti hanno ottenuto a fine agosto dal tribunale di Nouakchott, la libertà provvisoria. Accolti al grido di “Biram, tu sei un messia!” da un migliaio di persone – accalcate sulla strada tra la grande moschea Ibn Abass e la prigione civile di Nouakchott – che hanno vissuto con apprensione questi lunghi mesi di detenzione durante i quali è stata più volte paventata l’ipotesi dell’applicazione della pena di morte. Tra le ragioni che avrebbero condotto il tribunale e la procura a decidere per la libertà provvisoria ci sarebbero anche le condizioni di salute del presidente dell’IRA per cui anche l’APM (Associazione per i Popoli Minacciati) aveva espresso preoccupazione, visto anche il forte dimagrimento (15 kg) dovuto alla grave gastroenterite contratta durante i mesi di detenzione.
Anche in Italia in questi mesi si sono succedute interrogazioni parlamentari e interventi in favore della scarcerazione dei detenuti. “Ritengo – ha affermato uno dei legali degli attivisti – che la libertà provvisoria concessa ai nostri clienti sia conseguenza della decisione presa dalla Corte Criminale che aveva annullato tutti gli atti dell’istruttoria”. La caduta dell’accusa di terrorismo e l’annullamento del processo rappresentano infatti un significativo traguardo.
“Sono entrato in prigione con un libro del Corano tra le mani e ne sono uscito con esso” ha commentato brevemente il presidente dell’IRA ai tanti cronisti che gli chiedevano una dichiarazione uscendo dalla prigione con il Corano tra le mani e indossando il tradizionale “boubou”. “Ho fatto il voto che se fossi uscito di prigione sarei andato a piedi nudi a casa mia e avrei pregato nello stesso posto dove avevo fatto la mia ultima preghiera del venerdì e vissuto i miei ultimi istanti di libertà; parlerò con la stampa solo quando sarò giunto a destinazione”.
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