Nafs i Lawwama ovvero “la ricerca dell’anima”. È questo il titolo del loro ultimo progetto discografico. Un lavoro impegnativo dalla forte valenza creativa: reggae, latin jazz, hiphop ed arabe, danno vita ad un suono elettronico reso ancora più accattivante dai contenuti che lo accompagnano. Contenuti fortemente militanti. Il gruppo di cui stiamo parlando si chiama Malikah Jamilah and her souldiers, un quartetto risoluto, fuori da ogni etichetta, che si auto-definisce Tribal-nusoul. Un mix di etnicità e cultura hiphop. In occasione della pubblicazione on line dei nuovi brani vi proponiamo in esclusiva l’intervista che Mali, la cantante, ha rilasciato a Frontierenews.
Partiamo dalle tue origini.
Sono nata in Veneto, a Montebelluna. I miei genitori si sono conosciuti in Italia all’università. Poi all’età di un anno ci siamo trasferiti a Doha dove ho vissuto fino ai 19 anni. Successivamente ho deciso di proseguire gli studi a Venezia dove mi sono laureata in lingua araba. Adesso vivo di nuovo in Qatar perché in Italia, come ben sai, è difficile trovare lavoro.
Insomma sei quella che potremmo definire una cittadina del mondo.
(Ride) Bhè… per certi versi lo sono. Sono cresciuta a contatto con culture diverse e ho potuto sperimentare sulla mia pelle pregi e difetti di ognuna di queste. A Doha ho frequentato le scuole americane, mia mamma ha origini libanesi… Il Qatar mi ha educato a diventare una Khaleej e l’Italia mi ha donato la libertà che altrove non ho trovato.
Cosa intendi per libertà?
Arrivare in Italia per me è stato uno shock, soprattutto per i costumi e la mentalità. Non immaginavo neppure lontanamente quanta pelle si potesse intravedere dai vestiti e non ti nascondo che all’inizio mi sentivo a disagio. In Italia potevo realizzare molti sogni: studiare arte, filosofia, politica. Disponevo di un’infinità di strumenti. In Qatar avevo frequentato solo i miei compagni di scuola, adesso invece potevo scegliere gli amici.
Questi i lati positivi dell’Italia. Cosa mi dici invece della vita in Qatar?
Al Qatar devo tanto. Lì ho capito quanto sia delicato confrontarsi con culture diverse. Negli anni ho imparato che per vivere serenamente è importante non addentrarsi in discorsi religiosi e politici. L’Islam crea una sorta di muro nei confronti di tutto ciò che è diverso, non ama le contaminazioni.
E sulla condizione della donna invece?
Adesso che ho trent’anni, la dignità delle donne Khaleej mi è più chiara e vive forte nel mio cuore. Le donne arabe sono fiere, così come lo è mia madre. Sono orgogliose sebbene l’Occidente tenti di continuo di giudicarle. La dignità non è solo un fatto culturale, ma è qualcosa di molto più intimo. Significa anche educare i propri figli a credere in se stessi fino in fondo. Oggi poso dire con fermezza che il mondo arabo mi ha insegnato che alcuni valori fondamentali sono universali.
Parliamo di musica. Il genere che proponete non è proprio “commerciale”. In Qatar come siete considerati?
Proponiamo un genere dal forte contenuto spirituale. Molti brani sono racconti di vita vissuta in cui affrontiamo tematiche sociali. Ma purtroppo non abbiamo un grande seguito. Qui ascoltano musica tradizionale o super commerciale. La musica è un mezzo per divertirsi e non per esprimersi.
Nei vostri brani parlate spesso dei diritti delle donne. Qual è il tuo punto di vista?
Io parto dal presupposto che uomo e donna sono uguali. Mi preme comunicare che la società non riuscirà mai a sottometterci. Né in Occidente, né in Oriente, né altrove. La violenza contro le donne è un male che purtroppo accomuna tutte le società. Noi siamo forti ma vorremmo essere più tutelate.
Le donne arabe che ne pensano?
Inutile negare che in Qatar la donna vive diversamente che in Italia. Ma non è corretto immaginarla sottomessa o costretta ad indossare il velo. In Italia a 13 anni vuoi fare la velina, a Doha invece vuoi far parte dell’ Onu o diventare astronauta. La differenza sta nelle ambizioni. Mi batterò sempre per sfatare il mito della donna araba oppressa e asservita.
Progetti in corso?
Di recente ho collaborato ad un nuovo progetto con MastaP dei Kalafro, un gruppo italiano di musica combattiva che mi piace molto, e con Mastro, un giovane producer. Non posso svelarvi altro sul progetto ma a breve ci vedrete in una combination che parla della musica come veicolo internazionale di idee, passione e rivoluzione.
Su iTunes invece si trova l’album Nafs i Lawwama – The Regretful Self di Malikah Jamilah and her souldiers. Un progetto elettronico che vede DJ Nasdaq ai piatti, Guybrush al basso e El tigre de Colombia alle percussioni. Nel disco parlo del rapporto complicato con mia mamma a cui rendo omaggio chiamandomi con il suo nome, Malikah Jamilah (bella Regina).
Nella vita l’anima attraversa vari stadi: il pentimento, l’equilibrio e infine la consapevolezza della forza che ognuno di noi ha dentro. E’ questo che vorrei venisse fuori dalla mia musica.
www.malikahjamilah.com
http://m.youtube.com/user/Malikahjamilah
Teodora Malavenda
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hahahahah ! non te la prendere amico mio.. e una persona molto in gamba , solo che ama smagnetizzarsi. Dovrebbe smettere con questa mania di essere perseguitata.. infatti sono arrivato a questo post per ricordarglielo e rassicuralrla ” il tempo cancella qualsiasi cosa ” gli auguroi buona fortuna con la sua musica qualunque vero nome abbia .
jamilah, senza alcun motivo mi hai tolto l’amicizia e bannato. ed hai perfino mentito su presunti problemi sul tuo falso nome…..ma sei davvero una mentecatta!!! saluti!!!
Quest’intervista tira fuori il nucleo centrale della vostra musica: c’è tutto, la contaminazione, il messaggio, la dignità artistica, la professionalità. Complimenti a voi e a Teodora Malavenda!