Settembre, mese di scuola, di matite, di quaderni nuovi. Voglia di rivedere i compagni e di giocarci insieme, come tutti gli anni. In Slovacchia però, non sarà così. Non per tutti i bambini.
Da quest’anno infatti la nuova riforma scolastica dell’istituto Francisciho (e non solo), prevede che i bambini rom, che sono circa il 10% della popolazione, debbano frequentare delle classi a parte, con programmi specifici creati appositamente per loro. Classi che molto spesso sono quelle destinate ad alunni con “lievi disabilità mentali”, confinati in un’ala dell’edificio, lontano dai bambini slovacchi. In questo modo non solo si diminuisce la capacità di apprendimento ma si insegna ai bambini che non bisogna mescolarsi.
Secondo un rapporto di Amnesty International, questa differenziazione capita molto spesso nei paesi dell’Europa centrale ed orientale, i bambini rom vengono addirittura “segregati etnicamente in scuole e classi ordinarie”, violando così il diritto all’istruzione.
Diritto all’istruzione che va di pari passo con il National Roma Integration Strategy, un piano adottato dalla Slovacchia a gennaio di quest’anno che prevede un quadro teorico, una valutazione socio-economica e un continuo monitoraggio della situazione. I principi politici principali a cui fa fede il NRIS sono la de-stigmatizzazione, l’integrazione e la de-ghettizzazione. Una politica che però non viene messa in pratica.
A fare da portavoce sulla situazione sono i genitori dei bambini rom che hanno fatto diventare il caso della scuola Francisciho un caso nazionale e internazionale. I media slovacchi si sono posti il quesito, Amnesty International ne parlerà in questi giorni al Word Urban Forum a Napoli.
Una delle mamme, Jana, è andata fino a Ginevra per denunciare la Slovacchia al Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali.
Ecco la sua dichiarazione: “ Se pensano di avermi sconfitto segregando i miei bambini, si sbagliano di grosso. Continuerò a combattere per i miei figli e per i figli degli altri genitori, perché tutti meritano il meglio”. Non c’erano parole migliori per dirlo.
Ilaria Bortot
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