È stata una vittoria di laici, società civile e opinione pubblica. Una vittoria raggiunta grazie all’impegno intellettuale e politico di quanti credono che la donna tunisina sia, e debba restare, un soggetto autonomo, complementare a nessuno, investito della stessa dignità degli uomini.
Un ideale divenuto ben presto principio costituzionale: nella carta suprema del Paese nordafricano, infatti, non si parlerà di “complementarietà” delle donne. A favore della disparità tra i sessi si erano battuti alacremente gli esponenti conservatori dello scenario politico tunisino. Stiamo parlando del partito politico islamista Ennadha e di altri movimenti satelliti ultraconservatori.
L’avessero spuntata, aggiungendo il vocabolo nel testo supremo dei princìpi normativi e della fonte del diritto tunisino, la condizione della donna avrebbe subìto una brusca virata, nuovamente affossata nei ranghi bui della discriminazione che affliggeva il paese a partire da ben oltre mezzo secolo fa.
Invece, gli ultraconservatori si sono ritirati, lasciando campo libero agli ideali promossi, nelle piazze e nelle strade, dai movimenti politici e associazionisti liberali e laici: la donna non è né meno né peggio dell’uomo, non ha bisogno della sfera maschile per raggiungere la sua completezza. Non è, dunque, complementare a nessuno, ma completa in se stessa.
Un concetto che sta alla base di ogni sviluppo sociale, sposato dalla commissione mista dell’Assemblea costituente. I padri del diritto tunisino hanno, così, sancito l’uguaglianza tra i sessi. E non soltanto nella vita quotidiana, quella domestica e privata, che si vive nel ristretto nucleo familiare, ma anche nel settore professionale, alla luce del sole della vita pubblica.
Un successo che appare ancora più rilevante se si pensa al grado di assuefazione sofferto dalla popolazione tunisina agli ideali promossi dal partito Ennadha che, nella sua quotidiana affermazione politica, ha inteso indebolire la base laica dello Stato. Una tentata “controriforma”, dopo i fasti della primavera araba, che stava lentamente conducendo il Paese sul baratro di una nuova restaurazione.
È emersa, però, la forza di un popolo, che ha preferito esporsi per emanciparsi, sfidando a muso duro i salafiti. Un popolo del quale hanno fatto parte, senza metterlo mai in discussione, anche le donne. Compatto, unito contro gli abusi del potere e intenzionato a salvaguardare le vittorie sociali risalenti sin dai tempi dell’Indipendenza.
Un’indipendenza che ruppe la sottomissione coloniale più di mezzo secolo fa e che continua, da allora, a macinare successi, benché lentamente e non senza difficoltà o attacchi dal sapor conservatore. Un’indipendenza voluta al di là di ogni compromesso dalle migliaia di donne, ragazze, studenti, uomini e politici progressisti, contrari a ogni forma di ghettizzazione o annullamento sociale femminile.
Già dal 1956 la Tunisia aveva introdotto, nel proprio assetto normativo, la parità dei sessi: un primato nell’intero mondo arabo. Un successo che, seppur molte volte sbugiardato dalle ottusità violente tutte interne ai nuclei familiari, ha comunque cercato di diffondere una sorta di sana occidentalizzazione della società nordafricana.
Ma, nonostante questi colpi di coda integralisti, in definitiva, anche se i matrimoni sono ancora troppe volte il risultato della contrattazione privata delle famiglie o se le donne non sempre ottengono tutto ciò che rivendicano, è un dato che nella Tunisia contemporanea uomo e donna debbano essere uguali. E non per un ideale, ma per la legge. E, ancora, non per una legge ordinaria, ma per quella suprema della Costituzione.
Emilio Garofalo
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