A partire dal 1976, anno in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ristabilì la pena capitale, 141 detenuti hanno lasciato i bracci della morte americani. Michael Keenan è l’ultimo di questi. E’ stato liberato due giorni fa, dopo una detenzione durata 24 anni, tutti passati in attesa dell’esecuzione.
La sua storia comincia nel 1988, con il ritrovamento di un cadavere: quello del 19enne Tony Klann, rinvenuto lungo un torrente, nel parco pubblico di Cleveland, con la gola tagliata. Per il delitto, fu fermato Michael Keenan, un uomo che, presto, avrebbe subito un massacro giudiziale fatto di errori, ritardi e sentenze infondate.
Le prime, in un’escalation di inadempienze giurisprudenziali, furono entrambe di condanna e costarono a Keenan la reclusione nel braccio della morte. Dentro le mura del carcere, cominciò per lui una nuova vita: logorante, opprimente, trascorsa in attesa dell’esecuzione, mentre i suoi legali, fuori dalla prigione, avevano intrapreso una dura battaglia per portare a galla la verità.
E la verità coincise con un mucchio di lacune nei fascicoli della procura, che fece saltare fuori persino un nuovo responsabile: Joe D’Ambrosio, accusato di aver partecipato al delitto Klann. Dopo questi sviluppi, il giallo, via via che si avvicinava alla soluzione, stava diventando, in realtà, sempre più misterioso. Nelle battute successive del processo, l’accusa venne praticamente demolita dalla deposizione di un prete cattolico, Neil Kookoothe.
Non nascondendo l’amicizia che, da tempo, lo legava a D’Ambrosio, il reverendo si era presentato spontaneamente ai Giudici, per offrire una testimonianza utile a liberare i due dall’accusa di omicidio. Nonostante questo, la procura di Cleveland scelse la strada dell’acquiescenza: i due sarebbero rimasti in carcere e avrebbero atteso l’esecuzione della pena capitale.
Il mistero di Cleveland, a questo punto, si infittì ancora di più. Spuntò, infatti, un terzo colpevole: Edward Espinoza. Un uomo che, fino al 2001, anno del suo rilascio, avrebbe seguitato a proclamarsi innocente. Fu rimesso in libertà dopo 12 anni di detenzione. Morì poco dopo, da uomo libero.
In questo gioco mortale, restavano ancora in ballo Keenan e D’Ambrosio. Ma nessuno dei due, fortunatamente, ci avrebbe rimesso la vita: D’Ambrosio attese il 2010 per tornare in libertà. I giudici stabilirono l’insussistenza delle prove a suo carico.
Michael Keenan, invece, fu costretto ad aspettare per 24 lunghi anni: il pasticcio della procura di Cleveland, proseguito ininterrottamente dal 1988, si è risolto, infatti, soltanto due giorni fa, con una sentenza di assoluzione. I giudici hanno respinto ogni accusa di omicidio a suo carico. Da 48 ore, il detenuto è di nuovo un uomo libero.
Libero di riabbracciare la famiglia. E di mangiare una pizza, sfizio che Keenan si è tolto appena varcata la porta del braccio della morte. Libero di “prendere un po’ di sole”, come ha auspicato suo fratello, impressionato dalla debilitazione fisica causata dalla lunga ed estenuante detenzione.
E libero, anche, di valutare l’opportunità di agire nei confronti della procura per ingiusta detenzione, come ha anticipato uno dei suoi legali, benché tutti concordino nel sostenere che il “denaro non servirà a recuperare la libertà perduta”. Per 24 anni. E, infine, ritrovata.
Emilio Garofalo
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