Altro che pechinesi in bici. La città che annienta i ciclisti


 

dalla nostra corrispondente da Pechino, Natina Balzano

Stamattina a Pechino il cielo è azzurro (una frase per niente banale in questa città): il vento, che comincia a pungere un po’, ha spazzato via l’abituale velo di smog che avvolge i palazzi e nasconde il sole. Prendo la bici e attraverso il secondo anello, una delle sei sovraffollate strade principali che girano intorno a piazza Tian’an men, il cuore della città, per raggiungere il Serk. Zhao Liman si aggira per i tavoli e sorride agli avventori, diffondendo nel locale profumo di caffè e meat pie. Ogni tanto entra qualcuno con una bicicletta sollevata sulla testa, Liman tira fuori una cassetta con gli attrezzi e insieme si mettono ad armeggiare sul fondo della sala tra bulloni e catene.

Il Serk non è un bar qualunque. Aperto nel giugno di quest’anno, è il centro intorno a cui ruotano le attività di Smarter Than Car, ONG nata nel 2010 con l’intento di promuovere la cultura delle due ruote in una città, Pechino, che nell’immaginario collettivo viaggia in bici indossando casacche alla maoista. Non è più così (anche per le giubbe), come mi racconta Liman: “Sono cresciuta qui; quando ero più giovane in bicicletta potevo arrivare dappertutto. Adesso le automobili sono padrone delle strade, occupano le piste ciclabili e con la loro prepotenza minacciano la sicurezza dei ciclisti. Andare in bici non è bello come un tempo”.

Liman ha creato la Smarter Than Car insieme a Shannon Bufton, architetto australiano trapiantato in Cina: “Volevamo fare qualcosa per riportare le biciclette a Pechino”. Dopo due anni è arrivato il Serk, che letto all’inglese è quasi omofono di circle: come il cerchio della ruota, ma anche come il ciclo del tempo che si spera di ricondurre indietro al punto in cui le automobili hanno sorpassato le bici, trasformando il volto della città e i modi di viverla.

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 Se infatti nel 1986 il 63% dei pechinesi si muoveva in bicicletta, oggi questa percentuale è scesa al 16%, come riportano i dati dell’Urban Transport Institute. La riconfigurazione dello spazio urbano, con la dilatazione delle distanze rispetto a quando la vita delle persone era regolata dall’unità di lavoro e si svolgeva quasi del tutto nel giro di pochi chilometri, ha allungato i tempi degli spostamenti quotidiani. La crescita della ricchezza individuale e la promozione statale dell’industria dell’automobile quale settore chiave dell’economia cinese nei primi anni ‘90 hanno fatto il resto, rendendo Pechino una città congestionata e dall’aria spesso irrespirabile.

Nonostante un sistema di trasporti pubblici efficiente (la metropolitana di Pechino ha 15 linee e gli autobus sono tantissimi e puntuali), il traffico è un problema serio, se si pensa che nelle ore di punta la velocità media degli spostamenti su strada è di circa 10 km all’ora. Pedalare in queste condizioni non è semplice: le macchine non danno la dovuta precedenza mai (e non si fanno scrupoli a rimarcare la loro supremazia strombazzando forsennatamente), le piste ciclabili, che pure sono presenti a lato di gran parte delle grandi strade, sono usate spesso come parcheggio e monopolizzate da risciò a motore e carretti a tre ruote che trasportano carichi sporgenti dalle dimensioni spropositate.

Il sistema di noleggio pubblico di biciclette avviato in occasione delle Olimpiadi del 2008 non sembra aver suscitato l’entusiasmo dei pechinesi, che invece fanno la fila per comprare un’automobile e partecipare all’annuale lotteria (avete capito bene), indetta dalla municipalità per l’assegnazione delle nuove targhe. Nel 2011 il piano quinquennale della municipalità di Pechino ha introdotto questa misura con l’obiettivo di ridurre gli spostamenti in automobile e favorire l’uso dei trasporti pubblici e delle biciclette. Anche il governo centrale ha dovuto riconoscere la necessità di un’inversione di tendenza, e ha emanato quest’anno una direttiva che impone alle città cinesi con almeno 10 milioni di abitanti di portare la bicicletta al 45% del traffico urbano entro il 2015.

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Ma forse è un po’ tardi, e a quanto pare la protezione dell’ambiente e il miglioramento della qualità della vita non sono esattamente in cima alla lista delle priorità del PCC. “Il governo fa più chiacchiere che altro. E poi le macchine producono più Pil delle bici”, mi fa notare con un sospiro Zhao Liman. Inoltre, e questa è una cosa che nessuna politica dello Stato riuscirà a sradicare, l’affermazione della cultura dell’auto personale appare ormai irreversibile anche in Cina. L’automobile è diventata per i cinesi uno status symbol, un trofeo tangibile e scintillante del successo individuale. Io ce l’ho e tu no; la mia è più grande e più potente: è una storia che conosciamo bene anche noi.

Il cambiamento degli atteggiamenti mentali va di pari passo con l’inarrestabile mutamento del paesaggio post-moderno. Sempre più architetti ed esperti di pianificazione si rendono conto infatti che le nostre città, costruite intorno agli assi finanziari del grande capitale ad uso e consumo di quest’ultimo, diventano spesso per il cittadino delle gabbie che limitano, più che degli spazi aperti e liberamente fruibili. La trasformazione del tessuto urbano in visione di maggiori sostenibilità e salubrità è al centro del Nuovo Urbanismo, movimento di pensiero le cui posizioni si sovrappongono per la quasi totalità a quelle dei sostenitori della bici. Oltre alle problematiche strettamente ambientali legate alla crescita smisurata delle città (a alla diffusione dell’automobile), il proliferare di ben distinti e separati tra loro centri commerciali, direzionali, residenziali e del tempo libero, ci ruba tempo, gioia, salute, e impoverisce la vita dei cittadini sul piano dei valori sociali, politici e culturali.

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L’ “urbanismo ciclabile” di cui si fa portavoce Smarter Than Car si inserisce dunque in una visione più ampia della vita in città e del rapporto tra l’uomo e il suo habitat. Rallentare i ritmi, spostarsi nel rispetto dell’ambiente e di chi ci circonda, pensare una realtà in cui il lavoro non sia troppo lontano da casa, (ri)scoprire luoghi e umanità che si incontrano lungo il cammino: sono elementi che contribuiscono a costruire un vissuto più pieno e consapevole. Resistere alla motorizzazione delle nostre esistenze significa anche ripensare il modo in cui esse interagiscono tra loro e con il territorio.

Zhao Liman mette su un disco di Morrisey mentre mi prepara un altro caffè, e parliamo del Tour di Pechino: oggi è l’ultima giornata della competizione ciclistica che si svolge ogni anno in città, e stavolta sono testa a testa Tony Martin, il tedesco campione in carica, e Francesco Gavazzi, italiano. Quando si dice le coincidenze. (Gara poi vinta da Tony Martin, ndr)


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