di Alex Bizzarri
L’ISOLA DI PASQUA – “Si dice che in origine l’isola di Pasqua fosse un paradiso in terra, landa incontaminata che offriva tutti i mezzi di sussistenza ai propri abitanti, i primi colonizzatori si ritrovarono su un’isola fornita di suolo fertile, cibo abbondante, materiale da costruzione e tutti i prerequisiti per una vita confortevole. Essi prosperarono e si moltiplicarono. La popolazione non si accorse però che stava tagliando la foresta più velocemente di quanto essa fosse in grado di rigenerarsi; gli alberi furono abbattuti per ricavarne giardini, canoe, per trasportare statue ed alimentare il fuoco. Di questo passo l’intera foresta scomparve, niente più legna per cucinare e i raccolti declinarono inevitabilmente senza più alberi a proteggere il terreno. Stessa sorte toccò alle specie animali, i crostacei furono oggetto di pesca eccessiva, l’uso dei polli venne intensificato fino al loro esaurimento che portò all’estrema soluzione del cannibalismo; quello che era un paradiso in terra si trasformò in un inferno. Il caos locale rimpiazzò il governo centrale, la gente impaurita iniziò a vivere nelle caverne per proteggersi. Di lì a poco l’intera popolazione si estinse. Gli isolani pagarono lo scotto per non aver avuto ragionevolezza e lungimiranza sufficiente da fargli capire dove stavano precipitando”.
E’ così che Serge LaTouche, economista filosofo, professore emerito di scienze economiche dell’Università di Paris-Sud e “guru” della decrescita ama iniziare i suoi seminari, basta poco per capire che il suo intento è quello di fare un parallelo tra quello che è accaduto all’isola di Pasqua e quello che sta accadendo alla sua versione ingrandita, il nostro pianeta. In questo scenario potenzialmente apocalittico va ad inserirsi la sua tesi che sempre più dibattiti alimenta tra le fila di una parte della sinistra, entusiasta, e i suoi oppositori.
Guarda anche il video “Il criceto che spiega la decrescita felice“
DECRESCITA O A-CRESCITA? – La parola “decrescita” dice molto, ma non tutto; in effetti sarebbe più corretto parlare di a-crescita come si parla di a-teismo, visto che a tutti gli effetti si tratta di abbandonare una fede, quella del progresso e dello sviluppo affermatasi e sviluppatasi nel secondo dopoguerra quando l’Occidente del presidente americano Truman ha lanciato la parola d’ordine e l’obiettivo dello sviluppo. Da quel preciso momento la società ha legato il suo destino ad un’organizzazione fondata sull’accumulazione illimitata gettando le basi di un sistema condannato alla crescita dove non appena quest’ultima rallenta o si arresta, si parla di crisi, come ormai siamo, ahinoi, abituati a vedere.
Questa necessità di accumulazione illimitata, secondo i teorici della decrescita, fa dello sviluppo un circolo vizioso. Abbandonare l’obiettivo della crescita fine a sé stessa è quindi il caposaldo di questa corrente di pensiero, un obiettivo il cui motore non è altro che la ricerca del profitto da parte dei detentori di capitale e le cui conseguenze sono disastrose per l’ambiente. La teoria parte da un assunto di Malthusiana memoria che sembrerebbe essere palese e scontato: “Una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito”. Per essere precisi, parlando di pianeta finito ci riferiamo ai 51 miliardi di ettari di spazio disponibile sulla terra e ai 12 miliardi di ettari di spazio bio-produttivo, utilizzabile per la riproduzione, dividendo questo dato per il numero di abitanti otterremo una quantità pari a 1.8 ettari pro capite, considerando però i bisogni in termini di materia ed energia è calcolato che l’umanità consuma 2,2 ettari in media per abitante dello spazio bio-produttivo.
CRESCITA SMISURATA; IL TEOREMA DELL’ALGA VERDE – La media però ci dice poco sulle disparità di spazio presenti, basti pensare che la media Usa è di 9,6 ettari, quella europea di 4,5, mentre quella italiana è di 3,8; è chiaro che siamo molto lontani dall’uguaglianza planetaria. Occorrerebbero dai 3 ai 6 pianeti per generalizzare lo stile di vita occidentale. La dismisura ha sostituito la ragionevolezza e la lungimiranza, il delirio quantitativo ha fatto precipitare la situazione in quello che LaTouche chiama il “Teorema dell’alga verde”. Immaginate una piccola alga che mette radici in un grande stagno, per quanto la sua crescita sia rapida, con una progressione geometrica in base due, nessuno le da peso fino al momento in cui la grandezza dell’alga copre metà della superficie dello stagno e rischia di provocare l’asfissia della vita subacquea; pur avendo impiegato alcuni decenni per arrivare a quello stadio, è sufficiente un solo anno per provocare l’irrimediabile morte dell’ecosistema lacustre.
SVILUPPO SOSTENIBILE? – La Banca Mondiale ha calcolato che nel 2050 la produzione di ricchezze dovrebbe essere quattro volte superiore a quella attuale; è irragionevole pensare che questa crescita possa arrivare senza sconvolgere ancor di più gli equilibri naturali. Siamo forse arrivati al punto in cui l’alga ha colonizzato metà del nostro stagno. C’è chi, per sottrarsi a quest’infausta sorte, parla di sviluppo sostenibile, ma guai a proporre questa tesi ad un teorico della decrescita, sareste accusati di portare avanti un concetto ingannevole e dannoso. “Sviluppo sostenibile” è considerato infatti un ossimoro, un idea priva di senso poiché giustappone due termini in contraddizione, l’espressione nasce su pressione delle lobby che spingono l’Onu a scartare il precedente e ben più chiaro concetto di “eco-sviluppo”, una trovata che mira a cambiare i termini anziché le cose facendo fluttuare il contenuto del concetto tra l’orientamento “realista” del mondo degli affari e quello “umanista” degli ideologi rendendolo così uno slogan pubblicitario privo di senso.
LE “OTTO ERRE” – Nel concreto LaTouche teorizza una sorta di decalogo che una volta applicato possa permettere all’uomo di uscire dalla società attuale dominata da valori come cinismo, individualismo e indifferenza ed entrare in una società della decrescita conviviale; tale cambiamento si concreta secondo l’autore attraverso l’applicazione di 8 regole; “Le otto R”: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Otto obiettivi interdipendenti che possono dare vita ad un circolo virtuoso di decrescita serena e sostenibile.
Questa, per quanto riguarda il Nord del mondo, i Paesi industrializzati, è una questione che solleva non poche critiche da parte degli obiettori della decrescita che la accusano di essere un lusso ad esclusivo appannaggio dei “ricchi” il cui sovra consumo ha reso obesi ignorando che anche nel Sud del mondo, avulso ai benefici e ai misfatti della crescita, è possibile diffondere una tale proposta, semplicemente partendo da basi diverse; non solo possibile ma necessario in quanto il prodotto degenerativo dello sviluppo incontrollato mostra il suo volto peggiore proprio in questi Paesi in cui i vincoli della natura sono stati esportati tramite la Rivoluzione Industriale.
SUD E NORD DEL MONDO – Mantenere o peggio ancora introdurre la logica della crescita nel Sud, col pretesto che solo così si potrà uscire dalla miseria che la stessa crescita ha creato, non farebbe altro che occidentalizzare ulteriormente questa parte sofferente del pianeta. L’ex ministro iraniano dell’ambiente Majid Rahnema sottolinea come “ciò che si continua a chiamare aiuto è semplicemente una spesa destinata a rafforzare le strutture che generano miseria”. La decrescita si inserisce dunque anche in questo contesto, intendendo evitare a quelle società del Sud sulla strada della crescita di infiltrarsi in quello che è un vicolo cieco permettendole invece di “dis-svilupparsi” eliminando gli ostacoli che impediscono la loro emancipazione.
Per avviare un circolo virtuoso anche in queste realtà sono necessarie parole d’ordine diverse da quelle già elencate, diverse “R” come: rompere, riannodare, ritrovare, reintrodurre e recuperare; dove per rompere si intende la rottura con la dipendenza sia economica che culturale rispetto al Nord necessaria per poter riprendere il filo di una storia interrotta dalla colonizzazione, dallo sviluppo e dalla globalizzazione e riappropriarsi della propria specifica identità culturale. “Per diventare protagonisti del proprio destino, è necessario anzitutto essere se stessi e non il riflesso prigioniero dell’altro”.
L’ambizioso programma di LaTouche, in conclusione, benché parta dal presupposto di voler abbandonare una fede (quella del progresso) ha un che di religioso che viene colto anche dalla sintesi delle sue regole, quasi dei comandamenti di biblica memoria (ricorda di santificare il riciclo…).
Il dibattito è tuttora aperto e più che mai vivo in tutto il mondo tra chi considera quest’uomo un sognatore illuso e il suo programma un’utopia irrealizzabile e chi invece riconosce l’urgenza di un cambiamento radicale e vede nella società della decrescita conviviale l’unico modo per uscire dalla macchina della crescita e dello sviluppo, lanciata a tutto gas in una strada che andrà inesorabilmente contro il muro dei limiti planetari. In fondo il tutto potrebbe essere riassunto da una frase del ministro ungherese per l’ambiente Miklos Persanyi : “Quando il vostro bagno è allagato, vi accontentate di asciugare per terra? Personalmente io comincio con il chiudere il rubinetto”.
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