di Francesco Fortinguerra
Nella loro vita, gli animali d’allevamento conoscono solo la reclusione in spazi limitatissimi e sovraffollati. Trascorrono la loro vita in piccole gabbie sporche con il fondo metallico in rete, sono esposti forzatamente al freddo, al vento e al gelo per infoltirne il manto. Sono vittima dei loro stessi simili per fenomeni di cannibalismo e di aggressività generati dalle allucinanti condizioni di vita.
Vengono uccisi all’età di 7-8 mesi mediante elettrocuzione anale e vaginale, rottura delle ossa cervicali, asfissia con gas tossici o soffocamento, sparo di un chiodo nel cervello seguito da dissanguamento.
Occorrono dai 30 ai 60 animali per una sola pelliccia di visone, dai 180 ai 240 animali per una sola pelliccia di ermellino, dai 130 ai 200 animali per una sola pelliccia di cincillà, dalle 10 alle 24 animali per ottenere una sola pelliccia di volpe.
“Colpo contundente al muso: si adopera largamente, specie in Europa. Nel caso del visone per esempio il colpo viene vibrato con un martello, ovvero meglio ancora con una paletta di ferro, direttamente verso il muso dell’animale. Se l’operazione è condotta bene l’animale morrà istantaneamente e senza soffrire”.
Questa terrificante descrizione che lascia trasparire cosa possono passare gli animali “trattati” da “operatori” inesperti o stanchi, non è riportata da un volantino di animalisti contrari alle pellicce, bensì dal manuale Animali da pelliccia di Domenico Scaramella edito una ventina d’anni fa da Edagricole, ma ancora (purtroppo) valido; questa non è naturalmente l’unica perla, contenuta nel libro, ve ne presentiamo un’altra:
“Rottura delle ossa cervicali: salvo il caso che si operi su animali in stato di narcosi, questo sistema presenta difetti comuni ad altri, che determinano una forzata manipolazione della bestia, con conseguenze spesso imprevedibili, e per l’operatore e per la pelliccia”. Notate la totale disinvoltura con la quale si sorvola sulle conseguenze per gli animali.
Secondo l’autore “il momento dell’uccisione conclude le fatiche di un anno di lavoro. Uno stesso animale potrebbe essere ucciso in diverse maniere, tuttavia per pratica convenienza alcune tecniche sono preferite ad altre a seconda del tipo di allevamento”.
Seguono quindi tutti i vari metodi applicabili. Per quanto riguarda l’uso di gas (con una bella foto di camera a gas usata in Norvegia per soffocare gli animali con monossido di carbonio), si segnala che in alcuni paesi alcuni gas come il cianuro sono vietati, ma si spiega che con il cianuro un animale del peso di 10 kg poteva venir ucciso in meno di 45 secondi. Come? Atrocemente.
Le iniezioni – normalmente di stricnina – hanno un grave inconveniente: per poter iniettare il liquido il soggetto deve essere trattenuto spesso violentemente, con conseguente danno alla pelliccia. E in più non si può utilizzarne la carne!
Le scariche elettriche sono un sistema non scevro di inconvenienti: il pericolo che una scarica di durata maggiore (di 10 secondi) potrebbe danneggiare e talvolta in maniera gravissima, il mantello della bestia, bruciandolo. Sarebbe un vero disastro, non trovate?
Il colpo di fucile alla nuca sembra il metodo migliore, inadatto solo a quei capi che non devono essere commercializzati anche con la testa: il buco della fucilata permette infatti la fuoriuscita del sangue per il riutilizzo della carne e dello stesso sangue.
Questa breve galleria degli orrori era pubblicata così ingenuamente poichè negli anni ottanta la campagna contro le pellicce si limitava al contrasto dell’uso delle trappole, mentre i pellicciai dichiaravano di trattare esclusivamente pellicce d’allevamento, dove gli animali vivevano benissimo; in realtà, gli animali da pelliccia negli allevamenti intensivi che producono milioni di capi, stanno ancora peggio di quelli destinati alla macellazione per l’alimentazione umana; infatti visoni, volpi, ecc. sono animali che necessitano di ampi spazi per vivere e quindi, costretti in piccole gabbie, subiscono una vera e propria alienazione psicologica che porta li porta ai classici comportamenti stereotipati, quali girare furiosamente nella gabbia, aumentata aggressività e così via.
Dato lo scalpore che aveva ottenuto la diffusione di queste macabre descrizioni lo stesso Domenico Scaramella, in una pubblicazione successiva di alcuni anni sull’allevamento della nutria (quella che adesso è accusata delle più gravi catastrofi) presenta il momento dell’uccisione in questo modo: l’uccisione dell’animale è un periodo penoso per molti allevatori (!!!) che dopo tanto tempo conoscono, quasi ad uno ad uno, i soggetti dell’allevamento.
Lo scandalo degli allevamenti fece molta presa nel Centro – Nord Europa, tanto che la Germania cedette ben presto all’Italia il primo posto come consumatrice di pellicce.
Il mercato delle pellicce ha, comunque, subito nel corso degli anni un rallentamento ad opera di due fattori: da una parte le battaglie animaliste sono riuscite a sensibilizzare molte donne, specie le più giovani, dall’altro i produttori hanno fatto un grave errore nel non considerare che la pelliccia, nell’immaginario collettivo, costituiva un vero e proprio status symbol (una specie di “principe azzurro” per le donne con problemi di insoddisfazione personale: non a caso, le donne più impellicciate d’Italia erano le insegnanti che – come sappiamo tutti – svolgono una professione divenuta nel tempo sempre più ingrata) e che il lancio sul mercato di pellicce fatte con animali, quali il castorino, o con le code di visoni, permettendo a tutti di ottenere questo distintivo di “classe”, ne avrebbero paradossalmente ridotto l’interesse.
In questo modo, con l’avvento della pelliccia per tutti si è sviluppata una sorta di disaffezione per un capo di abbigliamento crudele e facilmente sostituibile. Ovviamente, resta invece sempre fiorente il mercato di gran lusso, cioè quel mercato di cimiteri ambulanti che costano molte migliaia di Euro e che quindi possono essere ancora considerati una specie di lasciapassare per i grandi eventi (dalla prima alla Scala, al ricevimento dal Prefetto).
Resta anche fiorente il mercato della pelliccia da infilare ovunque, soprattutto nelle guarnizioni e da piazzare alle generazioni più giovani, abbinandole ad esempio al tessuto dei jeans, tosata e colorata fino a renderla irriconoscibile. Insomma anche da noi è finito da parecchio il tempo della continua espansione del mercato della pelliccia, anche se la lotta a questo capo intriso di crudeltà non deve assolutamente diminuire d’intensità; è infatti ancora molto lontana la fine delle atrocità associate alla produzione delle pellicce, anche perché a fronte di una tendenziale flessione dei mercati americani ed europei vi è una crescita dei mercati emergenti (dalla Russia all’Estremo Oriente) dove probabilmente si ripeterà quanto è già accaduto da noi.
Non acquistare, non regalare, non indossare pellicce.
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