testo e foto di Stefano Romano
Si dice che il mondo della moda sia la fabbrica dei sogni. Questa è la storia di chi sta fabbricando i suoi sogni nella sua stanza. Questa è la storia di Corn Taylor, un filippino di trentotto anni.
Nato a Balayan, Batangas, in una numerosa famiglia composta da sette fratelli e quattro sorelle, ha provato fin dall’infanzia la vita difficile delle barangay povere, dove spesso si mangiava solo riso ed acqua; e a volte neanche quello. L’unico nutrimento che non mancava mai era l’amore della famiglia. Da solo, lavorando in alcune compagnie nella sua città, si è pagato da solo gli studi, ma la malattia del padre ha impedito a tutta la famiglia di poter assistere al suo diploma – quel giorno assistevano al capezzale del padre in ospedale, dove morì un mese dopo. Corn aveva tredici anni.
Il sogno di Corn è sempre stato il mondo dorato della moda; dopo le scuole ha studiato alla Calaca Foundation School, una scuola di moda di Batangas, mentre lavorava per quattro diverse compagnie in modo da poter mantenere gli studi e la sua famiglia. Gli altri fratelli lavoravano alcuni come carpentieri ed altri nei campi, ma solo quattro in tutta la famiglia.
Corn si sposa (sono sette anni che è sposato), anche sua moglie Veronica lo aiuta nelle prime esperienze nel mondo della moda. Ha un’idea bizzarra ma azzeccata, Corn va a Manila ogni tanto, compra molte bambole Barbie e quando torna a Balayan realizza degli abiti da sposa per le bambole e le vende in strada, davanti alla chiesa della città: 50 pesos (circa quattro euro) a pezzo, terminandole sempre tutte e ricevendo molti complimenti. Ha trentadue anni e inizia ad avere richieste per abiti da matrimonio, uniformi da basket, abiti da cerimonia. Lui realizza qualsiasi cosa, serve a farsi le ossa e avere denaro per sua moglie e la sua numerosa famiglia. Non a caso Corn vende davanti alla chiesa, ha una fede in Dio fortissima; è Lui che gli asciuga le lacrime la sera.
Ma tutto questo non basta. Due famiglie da mantenere gli impongono la scelta più dolorosa, partire. Siamo nel 2009. Nei suoi occhi c’è una sola città che può accoglierlo: Milano, i cui fasti modaioli sono noti in tutto il mondo. Laggiù può diventare uno stilista affermato; non è vanità ma necessità. Prima di Milano arriva in Slovacchia dove lavora sottopagato come computer-cut per un grande nome della moda mondiale, ma resiste solo sei mesi. Raggiunge Milano, ospitato da amici di amici di Batangas. Per loro mostra una riconoscenza infinita e chiede di scrivere il loro nome: famiglia di Mimita Cueto, che lo ospiterà a Milano senza chiedergli una lira per un anno. Corn è un ragazzo che continuamente ringrazia: Dio, la sua famiglia, sua moglie, chi lo ha aiutato. Questa sua riconoscenza è uno dei tratti più dolci del suo carattere. Il problema è che raramente i sogni corrispondono alla realtà.
Il lavoro è difficile da trovare e i documenti sono un problema, non avendo lavoro. Corn attraversa un lungo periodo nell’ombra dell’illegalità. Per due anni vende bibite al parco ai filippini, il giovedì e la domenica, come fanno molti suoi connazionali. Senza avere spese può spedire alla sua famiglia venti euro al mese, e alla moglie quindici euro saltuariamente, giusto per comprare il gasolio per cucinare; ma loro non sanno come lui si procuri il denaro, credono lavori normalmente. Come può far provare alla madre, già anziana, l’umiliazione precaria dell’illegalità? Alla moglie dice che quel poco denaro se lo guadagna con piccoli lavori di cucito.
Dopo due anni decide di cambiare vita. Inizia a lavorare in una sartoria, cucendo e disegnando abiti di moda. Il datore di lavoro nigeriano lo prende dopo un periodo di prova, lavora moltissimo, ogni giorno duramente dalle nove di mattina alle nove di sera, per venti euro al giorno. Non ha permesso di soggiorno ma deve lavorare, deve spedire i soldi. Gli acquirenti sono sempre di più, apprezzano il suo lavoro, molti italiani gli commissionano abiti matrimoniali. Il gestore della sartoria guadagna bene con Corn, lui no: sempre venti euro. Non ne può più.
Molla tutto e decide di lavorare da solo, nella propria stanza. Una piccola macchina da cucito, tre manichini e una volontà di ferro. Corn inizia a lavorare sodo, impiega due mesi, realizzando ottanta vestiti per varie occasioni, dal matrimonio al casual, finché è pronto per la sua prima sfilata di moda personale. Siamo a marzo del 2011, dopo due anni che è arrivato in Italia, Corn, attraverso il Kikay Group – un’attività filippina che organizza eventi e cerimonie, e grazie al coinvolgimento di quello che diventerà il suo truccatore di fiducia, Bella, debutta nel mondo della moda, a Milano. Alla sfilata vengono moltissime persone, non solo filippini ma anche molti italiani che già conoscono il suo talento. Circa cinquecento persone, ed è un successo. Ventisei modelle e molti acquirenti. Soprattutto per gli abiti da sposa, che sono il suo punto forte, memore delle bambole che vendeva per le strade di Batangas.
Viene intervistato anche dal più famoso giornale filippino in Italia: “Ako ay Pilipino”. Lui manda subito una copia a casa, per la moglie e sua madre, raccontando finalmente quale era stata la sua vita precedente, l’illegalità, la vendita di bibite nei parchi. Il dolore della madre per le dure condizioni di vita del figlio, per il segreto tenutole, non contamina le lacrime di felicità per il suo successo. Bussa ad ogni porta del suo barrio, al prete della chiesa, anche al sindaco che se ne complimenta, mostrando con orgoglio la pagina del giornale in tagalog con le foto del figlio tra le sue modelle. Di giorno sono lacrime di gioia e orgoglio, di notte di nostalgia e pena per quel suo ragazzo lontano.
Lo scorso settembre Corn ha vinto, con i suoi abiti, tre premi a Miss Italia – Philippines: Best casual dress, Best evening dress e Best International costume. Ma ancora combatte con l’attuale sanatoria per regolarizzare la sua posizione in Italia. A maggio avrà forse finalmente i suoi documenti. Se gli chiedi quale è il suo sogno, ora, ti risponde poter portare sua moglie in Italia – che non vede da quattro anni – e aprire con lei un piccolo negozio: “Corn Taylor Creation”.
Ma Corn non dimentica da dove è venuto; quasi ogni settimana riceve i messaggi dei fratelli che hanno bisogno di soldi per poter mangiare. Lui adesso può mandare duecento euro al mese alla moglie e ogni tanto anche alla madre, e alla sua suocera. Con la moglie può anche parlare via internet, con la madre no. Qualche volta le telefona, e lei piange sempre perché sa che il figlio è solo in Italia, non ha nessuno. Ma la madre non sa forse quanto è forte la volontà del figlio. Poi non è solo, ha i suoi coinquilini filippini che lo amano profondamente e lo supportano, ha le sue bellissime modelle, il suo truccatore. Corn ha Dio che lo protegge e non lo abbandona mai, fin da quando lo osservava sui gradini della chiesa di Balayan vendere bambole a 50 pesos.
E poi ha i suoi sogni. Che sono i sogni anche del popolo filippino che si disperde nel mondo per lavorare, e di cui Corn è orgogliosissimo di farne parte, perché come sostiene con fierezza: “Noi partiamo dal basso per raggiungere le vette grazie ai nostri sogni.” Senza dimenticare mai da dove si è partiti. E noi te lo auguriamo con tutto il cuore Corn Taylor, perché se è vero che è difficile far coincidere i sogni con la realtà, è anche vero che chi neanche ci prova a quei sogni non ha mai creduto veramente. E questo non è il tuo caso. Dio è con te.
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Nell’Italia di oggi i sogni, spesso, non diventano realtà, ma il sogno di Corn si è realizzato grazie alla sua dedizione, caparbietà, talento,… Una bella lezione di vita e anche una spinta per poter sognare anch’io. Grazie Corn, grazie Stefano!!!!!!
thanks a lot ADRIANA JUGARU,,STEFANO,,,A MILLION THANKS