Fuggono dalla guerra, sono a migliaia, abbandonano tutto ciò che hanno e scappano: sono gli abitanti del Mali. Varcano i confini del Paese nordoccidentale dell’Africa, seguono la direzione della Mauritania. Oltre la linea di demarcazione dei due territori, c’è il campo di Mberra. Solo all’inizio di gennaio, quasi 110mila profughi si erano accampati presso i punti di accoglienza. Oggi, sono circa 400mila.
Le strutture di Fassala e quelle dei campi della regione nord della Mauritania, in questi mesi, stanno accogliendo senza sosta molti africani (la maggior parte) di etnia Tuareg, ma anche cittadini arabo berberi ed esuli provenienti dal Songhai. Tra le vittime di guerra, molte sono le persone che hanno subito violenze fisiche e psicologiche. Giungono presso i campi profughi e trovano conforto nell’assistenza umanitaria e sanitaria degli operatori.
A spiegare le dinamiche di questa ennesima diaspora, dovuta a un conflitto bellico scoppiato a causa della crisi interna del Mali, è Federica Biondi, missionaria a capo del progetto Intersos. Stando alle sue dichiarazioni, a destare maggiore preoccupazione sarebbero le condizioni delle donne e dei bambini, maggiormente esposti ai rischi di una lotta armata.
L’abbandono di massa delle province settentrionali di un Paese devastato dagli incontenibili disordini interni sta causando una disgregazione massiccia, che coinvolge principalmente i nuclei familiari. Nei campi mauritani arrivano uomini, donne e bambini che, oltre ad aver perso abitazione e averi, si ritrovano senza i loro cari. I bambini sono orfani. Le donne, vedove. E gli uomini, avendole perdute, non possono più ricongiungersi alle loro donne.
Nutrita anche la presenza di anziani e di disabili, categorie vulnerabili a loro volta, colpite da una solitudine potenzialmente ancora più pericolosa. Ma da cosa scappano tutte queste persone? Da una situazione di disordine sociale, dovuta a una inarrestabile crisi politica, che si protrae sin dal gennaio scorso. Il Movimento nazionalista perla Liberazione, a seguito di un feroce colpo di Stato, costato la deposizione del presidente Amadou Toumani Touré, democraticamente eletto, ha “imposto” ai poveri abitanti del Mali una fuga repentina, oltre alla netta separazione tra i territori del Nord da quelli del Sud.
A causa della violenza dei rivoluzionari, sono stati interrotti gli investimenti nel Paese, si sono inesorabilmente fermate le politiche progressiste di un governo democraticamente eletto ma durato troppo poco. Annientato dalla violenza reazionaria del movimento di Liberazione, che ha portato alla migrazione coatta.
I cittadini hanno inondato le strade alla ricerca di nuove terre, nuove speranze, un nuovo futuro. Una fuga imposta anche dalla impossibile convivenza con le frange estreme dei movimenti islamici, intenzionati ad applicare massicciamente il dettato più conservatore della Sharia. Un doppio colpo mortale per lo Stato africano, che ha perso in un sol colpo sia la popolazione che ogni speranza di ripresa economica e finanziaria. Il triste epilogo è stata la brusca interruzione del progetto politico, giudicato da molti positivo e ammirevole, del presidente Tourè.
Coinvolti, dunque, nell’assistenza ai profughi l’Unicef ed Intersos, sotto la supervisione dell’Unhcr, l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. L’obiettivo comune è quello di dare ai minori un’educazione, sottraendoli dal lavoro forzato e dalle nuove forme di schiavitù loro imposte nei Paesi d’origine, fornire assistenza ai disabili e agli anziani e promuovere iniziative assistenziali per le famiglie divise, le vedove e gli uomini che hanno perduto tutto.
Si parte dalla identificazione dei soggetti, un’operazione che, secondo Federica Biondi, rappresenta “il nostro compito più complesso”. Si passa, poi, alla prevenzione di ogni forma di violenza tramite la costituzione di spazi idonei e sicuri. Le organizzazioni non governative impegnate sul territorio stanno agendo anche sotto l’egida del Governo mauritano. Le autorità stanno promuovendo non soltanto la cura e la tutela dei rifugiati, ma anche la sicurezza degli operatori umanitari.
Ad oggi, dunque, si contano circa 400mila profughi, divisi tra Mauritania, Burkina Faso e Niger. Molti sono anche quelli che scelgono di restare in Mali, riparando presso le province del Sud, in quei distretti tuttora considerati sicuri. Il primo ministro Diarra si è rivolto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tenutasi a New York lo scorso 25 settembre, con una precisa richiesta: liberare il nord del Mali con una campagna militare. L’intervento, tuttavia, qualora approvato, sarà comunque a lungo termine, ovvero non prima di dodici mesi. Fino ad allora, non resta che continuerà a scappare.
Emilio Garofalo
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qui sul sito ufficiale dell’UNHCR si parla della meta’ delle cifre….
http://data.unhcr.org/MaliSituation/regional.php
In Libia mi sembra c’abbiano messo meno di 12 mesi!