Non li sentiamo, ma i nostri capi negli armadi, soprattutto quelli poco o per niente utilizzati, ci parlano: “Non buttarmi, riciclami, riutilizzami…scambiami!”
Swap me! appunto. Lo Swap è un nuovo modo di intendere lo shopping all’insegna del riciclo e del risparmio, utilissimo in questi tempi di crisi economica.
L’idea dello “Swap” nasce negli Stati Uniti, ma è ormai diffusa anche in Europa: i negozi del riciclo li troviamo a Londra, Parigi, Berlino e Madrid. In Italia le “Swap Community” sono poche, quasi tutte al nord ed una a Roma. Ma da qualche mese ne è nata una anche nel sud Italia a Caserta.
Swap è una boutique, una sorta di guardaroba infinito ed eco-chic fondato sul baratto, come spiegano le due imprenditrici di Caserta: “L’idea imprenditoriale nasce dallo sviluppo delle Swap Community,- racconta Magda Raimondo, una delle fondatrici di Swap Me Ecoshopping – imprese commerciali che utilizzano la forma dello scambio di abiti, accessori ed altri oggetti, per favorire le esigenze delle giovani generazioni e non”.
Un occhio alla moda e l’altro al portafoglio, come spiega l’altra fondatrice, Enza Vinciguerra: “La recessione fornisce stimoli alla creazione di nuovi modelli di vita più ecosostenibili, ‘environmental friendly’, ‘green’ e vincenti, nella prospettiva di un futuro migliore. Lo SWAP è anche questo”.
Insomma perché lasciare gli abiti negli armadi o buttarli via? Quello che non ha più valore per noi, può essere prezioso per qualcun altro.
Come avviene lo scambio? Una volta portati gli abiti nel negozio, quelli mai usati o comunque in ottime condizioni, si possono scambiare con altri di uguale valore, pagando solo un costo di scambio.
L’abbigliamento viene classificato in base ad una scala di valutazione che va da 1 a 5 stelle. Ma anche se non si ha nulla da scambiare è sempre possibile acquistare, ovviamente a prezzo di usato.
“Swap me” non è solo un negozio ma anche un punto di ritrovo per persone di ogni età che amano vivere senza spechi, condividendo, ma attente al trend del momento.
Shopping senza sensi di colpa quindi e per di più ecosostenibile.
Paola Totaro
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