La sfida elettorale tra Hugo Chavez ed Henirique Capriles per le presidenziali in Venezuela si è risolta a favore del primo: il presidente uscente ha ottenuto circa 1milione e 200mila voti in più del suo rivale, per un totale di 7milioni e 400mila preferenze, pari al 54,2% dei voti. Il 45 % degli elettori, invece, ha votato a favore di Capriles, giovane avvocato cattolico, forte di un consenso maturato, da sei anni a questa parte, durante la sua ascesa all’opposizione, cominciata con la vittoria delle primarie dello scorso febbraio.
Chavez, dunque, ha battuto Capriles. Vent’anni di potere che si protrarranno per altri sei. Ma non si può dire che abbia “vinto” le elezioni: il presidente, infatti, ha perso ben nove punti rispetto al “plebiscito” ottenuto nel 2006, anno in cui raggiunse la soglia del 63%, ottenendo una radicale legittimazione popolare che lo portò a controllare, insieme con il Governo, ogni settore della vita del Paese venezuelano, ovvero apparati, pubblica amministrazione, economia e finanza, sia pubblica che privata, profitti legati al mercato multinazionale petrolifero.
Le elezioni venezuelane hanno confermato come, in poco più di un quinquennio, si sia assottigliata la soglia delle diversità consensuali dell’elettorato. Solo un milione di elettori a fare la differenza tra maggioranza e opposizione. A “salvare” Chavez dalla disfatta elettorale, sarebbe stato l’innegabile talento oratorio dal sapor demagogico, seguito dal riformismo di stampo populista che ha caratterizzato la sua politica negli ultimi sei anni.
Un politico, ma anche uno show man, un animale da palcoscenico, un cantante e un ballerino. In grado di resistere all’opposizione tanto quanto di lottare contro un tumore. Un rivoluzionario, per i suoi sostenitori. Un politico volgare, per le opposizioni. Un elemento imprescindibile della sua filosofia politica resta l’assistenzialità, quasi al limite della autoreferenzialità, dello Stato venezuelano nel settore del “mercato del lavoro”.
Chavez ha garantito enormemente l’impiego pubblico attraverso interventi ad hoc (assunzioni e aumento dei salari, innalzamento delle pensioni e maggiori garanzie per il lavoratore) con la naturale conseguenza del crollo della produttività dell’industria privata e del contrasto al liberismo.
Il socialista del nuovo secolo, promotore dell’accentramento sempre più selvaggio delle sorti della vita sociale ed economica del Paese nelle mani dello Stato, nel discorso pronunciato durante i festeggiamenti, ha confermato l’intenzione di “proseguire” sulla strada tracciata per la costruzione di un “grande Venezuela”.
Al suo Paese ha inteso garantire sempre “più democrazia, libertà e giustizia”. Fair play, inoltre, mostrato verso i dirigenti delle opposizioni, a suo dire bravi a non cedere alle tentazioni di destabilizzare il Paese.
Questo, nonostante la nuova politica liberale di “stampo brasiliano”, promossa dal suo stesso avversario, Capriles, resti uno dei “peggiori nemici” del socialismo di Chavez. Un uomo sicuramente controverso, che ha suggellato, mentre i fuochi d’artificio illuminavano la notte venezuelana, la vittoria elettorale con un liberatorio “viva il socialismo e la patria, hasta la victoria siempre”.
Emilio Garofalo
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