Si intitola Al di qua e al di là del muro ed è la prima personale di Simona Denti*. Organizzata da Aleimar Onlus e patrocinata dal Comune di Melzo, la mostra si compone di 31 scatti che accompagnano il visitatore in una terra di confine tra Israele e Palestina dove il tempo sembra scorrere sui binari della normalità. Durante la serata inaugurale (venerdì 30 novembre) è prevista un’esibizione di danze popolari palestinesi e israeliani a cura della Maestra Cristina Duci.
di Teodora Malavenda
Come nasce questo progetto?
L’occasione mi è stata offerta da Aleimar, una onlus che si occupa di sostegno a distanza e cooperazione internazionale. Ero già stata in India e in Croazia e avevo avuto modo di apprezzare il loro lavoro e la vicinanza che riescono a creare con la gente. Così ho deciso di partire con l’obiettivo di raccontare alcuni aspetti della vita quotidiana di uno dei più celebri “muri di separazione” del mondo. Non una storia precisa, ma delle sensazioni, le prime sensazioni che si possono provare vagando in questi territori.
E le tue sensazioni quali sono state?
La sorpresa è stata grande. Fin da subito mi ha colpito la grande vicinanza che in realtà esiste al di qua e al di là del muro (da qui il titolo della mostra). I miei scatti fermano soggetti e luoghi nell’istante che stanno vivendo: uomini, donne, bambini, soldati, artigiani, pellegrini, colti di sorpresa nella loro quotidianità.
Sei stata in un‘area in cui il conflitto sembra senza soluzioni. Immagino non sia stato semplice lavorare in questo contesto.
L’aspetto più complicato è stato non farsi condizionare dalla propria idea politica nel momento dello scatto. Non volevo che nelle immagini trasparisse la mia posizione. Il desiderio è stato quello di ritrarre in maniera neutrale indistintamente al di qua e al di là del muro. Gestire questo aspetto è stato molto complicato perché per fotografare bisogna entrare in relazione con le persone, avvicinarle, parlare con loro. La delicatezza dell’approccio è stata fondamentale e ascoltare le ferme convinzioni di entrambe le parti, di chi vive quotidianamente quello che noi solo in parte leggiamo sui giornali, mi ha permesso di liberarmi da pregiudizi e convinzioni, che avrebbero certamente condizionato il risultato. Ho un po’ svestito i personaggi dai loro “ruoli” e così i soldati israeliani sono diventati dei semplici ragazzi, le suore donne con il velo.
L’immagine a cui sei più legata.
L’immagine che mi è rimasta incollata alla pelle è sicuramente quella che ritrae una giovane donna in un momento di preghiera al muro del pianto. Amo le foto che trasmettono il movimento, che vibrano. In questa servirebbe il sonoro: non siamo abituati a manifestazioni di fede così complete. È qualcosa di magico, liberatorio. Anche il corpo accompagna le preghiere.
Adesso che hai respirato quei luoghi, quali sono le tue considerazioni?
Purtroppo la situazione attuale è drammatica ed è difficile prendere una posizione netta soprattutto per chi, come noi, conosce solo frammenti di questo lungo conflitto. Il rischio è di cadere nella superficialità. Sono tornata da questo viaggio con le idee ancora più confuse di prima anche se non ti nascondo che, in Palestina, la sensazione di sentirsi “topi in gabbia” si respira tremendamente. Parlando con le persone, tanto da una parte quanto dall’altra, ho notato una ferma e determinata difesa delle proprie ragioni e delle proprie posizioni. Mi aspettavo un atteggiamento più morbido e aperto soprattutto tra i giovani ma è proprio tra questi che ho visto la maggiore rigidità.
Simona Denti*
La passione per la fotografia le è stata trasmessa dal padre. Inizia a scattare con una Rollei compatta analogica 28-90mm; la sua prima reflex una Nikon F20. Circa otto anni fa si iscrive alla scuola di fotogiornalismo John Kaverdash di Milano con Sandro Iovine. Lavora in una delle più prestigiose agenzie di comunicazione e ha la fortuna di seguire l’archivio fotografico di 3M. La fotografia rimane il suo sogno e intanto diventa grande: una famiglia, due figlie, un’agenzia di comunicazione tutta sua.
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